martedì 4 ottobre 2011

Legge elettorale, referendum, domanda giusta, risposta sbagliata

Berlusconi si vanta di non occuparsi della legge elettorale (avrà altro da fare). Un milione e duecentomila cittadini hanno firmato il loro interesse all'argomento. Che l'attuale legge elettorale sia piena di difetti non è certo una scoperta. Che la soluzione sia il ritorno alla precedente legge per mezzo di uno strumento come il referendum è opinabile. Personalmente penso che anzi questo referendum sia un problema e non una soluzione.
Andiamo con ordine. La legge elettorale è un tema importante e interessante mentre l'Italia va a fondo flagellata da una crisi economica che attacca i portafogli e lo stile di vita di ciascuno di noi? Molti -  tra cui a quanto pare Berlusconi e diversi opinionisti - pensano di no. Sbagliatissimo. La legge elettorale è fondamentale, nel senso più letterale possibile: sta cioè alle fondamenta di tutto. Chiariamolo: nessuna legge elettorale è perfetta, nessuna è un dogma, è giusta in assoluto. Ciascuna ha pregi e difetti e questo cambia secondo le situazioni. Uno dei difetti dei referendari è quello di vedere nel maggioritario bipolare un dogma che risolve tutti i mali. Non è e non può essere così. Ma torniamo all'idea di legge elettorale: uno Stato si basa sull'architettura delle sue istituzioni attraverso le quali si esercita la sovranità finalizzata all'organizzazione e all'amministrazione della società. Questo vale ancora di più in uno Stato democratico che deve garantire la sovranità del popolo, e quindi deve garantirne la rappresentanza e la capacità di governabilità. Inseguire i ritmi delle semplificazioni televisive dicendo che la legge elettorale non è imprtante perché non è interessante è una grave inversione. bisogna assumersi la responsabilità di spiegare ai cittadini che siccome è importante la legge elettorale deve essere considerata interessante, perché interessa da vicino ciascuno di noi. E' infatti il modo con cui si sceglie chi ci governa, e di conseguenza è la precondizione per determinare come saremo governato e cosa sarà deciso. Molti dei guai degli ultimi tempi derivano dalle cattive leggi elettorali, o almeno da esse sono stati aggravati. Persino l'attuale crisi economica, che è senz'altro internazionale, ha però un impatto più grave sull'Italia a causa della cattiva politica (quella recentissima e anche quella degli ultimi anni) che deriva dalla cattiva scelta delle persone in politica, scelta determinata dalla legge elettorale. In particolare un elemento chiave è quello del rapporto tra elettori ed eletti. Se gli eletti sono in realtà cooptati da un capo che ne detiene il destino, è chiaro che a lui risponderanno e non ai loro elettori. Se il loro futuro, la loro rielezione dipende non dal parere della gente, della comunità di appartenenza, ma dipende solo da quanto siano nelle grazie del capo onnipotente, è evidente che di questo solo si preoccuperanno, di compiacere il capo e di fare tutto quanto egli desideri. Se al contrario devono rendere conto ai loro elettori, questi hanno maggior potere di condizionarli accordandogli o revocandogli il consenso e quindi il voto. Gli eletti quindi si preoccuperanno di rappresentare chi ha in mano il loro destino, si occuperanno di fare i loro interessi. Dovrebbe quindi essere chiaro che i risultati della politica dipendono inevitabilmente anche dall'architettura istituzionale (e dal suo orientamento, cioè se è orientata verso i leader oppure al contrario verso la gente) e in ultima istanza dalla legge elettorale. Quindi per risolvere la crisi della politica (e far sì che questa contribuisca a risolvere i problemi della società) bisogna ripensare il sistema elettorale, che quindi è un tema importante e interessante.
Ma come? Da quanto detto fino adesso emerge che uno dei punti fondamentali è il tema della rappresentanza. Questa legge elettorale non garantisce la rappresentanza (oltre a drogare la pur necessaria stabilità attraverso un premio di maggioranza che sommato con i parlamentari nominati finisce per congelare la democrazia). La reazione è stata la corsa al referendum, che nelle intenzioni dei proponenti dovrebbe ripristinare la legge precedente, il cosiddetto Mattarellum, quello dei collegi maggioritari dell'uno contro uno tra candidati e una riserva proporzionale del 25%. Legittimo volere questa soluzione, e peggio del Porcellum non sarà. Però è un sistema sbagliato. Non lo dico io, che conta quel che conta, lo dice la storia degli ultimi decenni italiani. Se siamo arrivati a questo punto, se abbiamo una politica così scarsa e così poco rappresentativa, oltre che inefficace, è anche perché per diversi anni abbiamo spinto verso un bipolarismo forzato che non funziona, anzi fa danni, e veros un maggioritario che è al servizio del dogma del bipolarismo, ma non funziona. Ricordate l'esperienza del governo Prodi con tre voti di maggioranza e il conseguente fallimento? Era il prodotto perfetto di questa legge elettorale che si vorrebbe ripristinare. E anche il berlusconismo si sposa perfettamente con questa legge, che diventa un "o con me o contro di me". Il Matterellum dei collegi maggioritari spinge non ad aggregare alleanze omogenee, ma a mettere insieme improbabili carrozzoni per raggiungere un voto in più dell'avversario, costi quel che costi, anche mettendo dentro estremisti di ogni tipo e anche cedendo ai ricatti di ogni piccolo potentato locale. Questo maggioritario aumentò il numero dei partiti e fece proliferare i partiti personali. Senza dare più di tanto la scelta agli elettori, che si trovavano catapultati nei collegi candidati estranei secondo le volontà dei capipartito di far eleggere o meno tizio o caio. Non a caso questo sistema era più o meno quello dell'Italia liberale giolittiana, quella dei notabili dai grandi poteri e dalla scarsa responsabilità. Col rischio di trasformare i collegi in feudi. I sostenitori del maggioritario continuano a illudersi, nonostante la storia, che sia sufficiente calare sull'Italia il sistema elettorale britannico (per la verità scricchiolante anche sulle isole) per farci diventare tutti anglo-sassoni. Ma siamo italiani, con pregi e difetti, e quindi il sistema elettorale deve essere il più adatto a noi. Come dicevamo non ne esiste uno perfetto e sempre valido. ma forse la base proporzionale è più vicina alla nostra sensibilità, e con i giusti accorgimenti può essere anche fonte di maggior stabilità. Non siamo neanche tedeschi, ma intanto il proporzionale in Germania in sessant'anni ha dato solo otto cancellieri, e il sistema elettorale attentamente studiato (e inserito in un'architettura istituzionale che ad esempio prevede una legge sulla democrazia interna ai partiti) permette di eleggere politici che rappresentino gli elettori e a loro rispondano.
Questo referendum quindi, che nasce da un'esigenza giusta e mnolto più sentita di quanto i mezzi di comunicazione vogliano far credere, è però sbagliato nella sostanza. Non solo per il modello che ne risulterebbe. Ma anche perché è un referendum "contro": molti hanno firmato contro l'attuale pessima legge. Ma come dicevamo non basta sostituirla con una legge qual che sia. Eppure questo è il rischio. L'entusiasmo per il referendum rischia di imporre una legge elettorale che poi consacrata dalla consultazione diventa intoccabile. Se il referendum vince, quella legge, pur cattiva, ce la terremo chissà per quanto. Ma se poi il referenudm perdesse, il rischio è che il contraccolpo sia tale da giustificare e consolidare l'attuale Porcellum. Un dilemma a doppia sconfitta. L'unica via di uscita è fare una nuova migliore legge elettorale, e ai cittadini va il compito di esercitare pressione in questo senso. Le strade facili, come il referendum, non sono sempre quelle giuste. A volte l'entusiasmo può trasformarsi in pentimento. E adesso non possiamo più permettercelo.

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