giovedì 27 ottobre 2011

Cattolici in politica tra astensionismo e voglia di impegno

I cattolici sono quelli che per natura ed educazione, direi per missione, tengono di più al bene comune, e sono anche pronti a dare del loro per il bene comune. Se cedono i cattolici, siamo allo sbando. È quindi un grido d’allarme quello che emerge dal sondaggio sul comportamento politico dei cattolici commissionato all’IPSOS dalla Fondazione Achille Grandi per il Bene Comune, emanazione delle ACLI. Ma trattandosi di cattolici al grido d’allarme non può non essere affiancata la speranza. Non a caso bene espressa già dal titolo della ricerca “Tra astensionismo e voglia di impegno”.
Il dato infatti più rilevante è quello del crollo di fiducia anche tra i cattolici verso il mondo della politica e delle istituzioni, che raggiungono il minimo storico di consenso. Clamoroso il giudizio negativo sui partiti politici crollati di 18 punti percentuali in sei mesi dal 32% al 14% di gradimento. Giudizio negativo che ha coinvolto anche le istituzioni come Camera e Senato che hanno appena un terzo dei consensi fra i cattolici (e poco più di un quinto fra gli italiani) dimezzando gli apprezzamenti rispetto a sei mesi prima.  Ancora non resi noti i dati relativi a tutte le altre istituzioni, ma per il governo e personalmente Berlusconi, si confida che il gradimento è passato da 50 a 22 con tendenza a diminuire ancora. Perderebbe qualcosa persino il Presidente della Repubblica, nonostante il suo ruolo di punto di riferimento, mentre solo la Chiesa si mantiene stabile.
Conseguenza di questo tsunami di sfiducia, gli italiani si rifugiano nell’astensionismo. E i cattolici? Sorprendentemente l’astensione viene scelta tra i praticanti in misura ancora maggiore che nel resto della popolazione. Un cattolico su due in questo momento non saprebbe chi votare, e forse non voterebbe. E allora che senso hanno iniziative come quelle di Todi? Sono perfettamente coerenti: infatti la differenza qualitativa tra l’astensionismo cattolico e quello dei secolarizzati sta nel fatto che i primi aspettano che maturi qualcosa di nuovo. Non vogliono rifuggire dalla responsabilità, ma non trovano ancora i canali attraverso cui esprimerla, e si sentono pesantemente traditi da ciò che c’è stato finora. È per questo che mi sembra sbagliata e – se mi è permesso – pigra una delle interpretazioni che è stata data a commento del sondaggio: i cattolici restano comunque bipolaristi. No, questa affermazione è fuori luogo. Si può dire che verso il bipolarismo o un altro sistema non ci sia tutta questa passione, ma certo è una forzatura dire che siano bipolaristi. Come si fa a dirlo quando la fiducia verso questi partiti è meno del 15%? Come si fa a dirlo quando l’astensionismo è al 50%? Come si fa a dirlo quando il 40% dei fedeli risponde a esplicita domanda dicendo che non affiderebbe le sue speranze per il futuro né al centrodestra né al centrosinistra? Come si fa a dirlo quando meno della metà dei restanti cattolici che dicono di voler votare danno la loro preferenza a uno dei due maggiori partiti attuali (e che quindi vuol dire che poco più di un praticante su dieci appoggia il PD e poco più il PDL)?
Certo, siamo onesti fino in fondo. Lo sconcerto c’è, ed è tale che non trova ancora uno sbocco. Il centro, che in qualche maniera dovrebbe essere il rifugio naturale di queste realtà, cresce costantemente, ma molto meno di quanto ci si potrebbe aspettare. Qui però mi permetto di sollevare due riflessioni che potrebbero spigare questa crescita frenata. Primo: mi sembra abbastanza naturale che chi come i cattolici è abituato a fare scelte con serietà ed assunzione di responsabilità aspetti un attimo prima di regalare la propria fiducia. Chi per vent’anni, come tutti gli italiani, è stato abituato a una sorta di bipolarismo, e ancora oggi ne ritrova le eco sui mezzi di informazione, prima di fare il salto si prende una pausa di riflessione. Mi sembra del tutto naturale un passaggio attraverso il distacco, attraverso la tentazione astensionistica, prima di indossare una nuova casacca. Tanto più quando si è rimasti scottati e si vuole ben valutare su quale treno si sale. C’è poi una paura atavica che impedisce un cambio radicale a chi si scrolla di dosso la vecchia posizione politica: chi si sente di centrodestra pur deluso da Berlusconi teme di finire in bocca a una sinistra che avversa, e viceversa i cattolici di centrosinistra non vogliono in alcun modo correre il rischio di puntellare il nemico Berlusconi. Tutti discorsi che ci riportano al centro, e che quindi ci spingono a toccare il secondo punto della mia analisi. La convergenza al centro dei cattolici è a mio avviso coerente, inevitabile e probabilmente sarà improvvisamente superiore a quanto possano rilevare i sondaggi, ma non ci si può accontentare di un voto di riflusso, che sarebbe solo un pericoloso fuoco di paglia. I cattolici “astensionisti” sono il principale e vasto bacino di raccolta di consenso per il centro, ma bisogna cercarli attivamente, non aspettare di incassare da rendita di posizione. I cattolici (e non solo) sono stufi di grandi contenitori indifferenziati carichi di promesse di ogni tipo e poi indecisi a tutto. Chi vuole il consenso dei cattolici deve essere davvero impegnato nel difendere le loro istanze. Non gli interessi di parte (nel sondaggio si rivela che la maggior parte dei cattolici chiede alla politica di trovare una sintesi tra valori cristiani e laici), ma certamente una visione cristiana dell’uomo e della società in senso antropologico, sulla linea dei laici alla Benedetto Croce. Difesa senza esitazione dei valori non negoziabili, contributo fattivo della visione cristiana al bene comune, capacità di rinnovamento ed apertura alla società civile e ai movimenti cristiani: è questo quello che si aspettano dalla politica, e soprattutto dal centro, e quindi dall’UDC, gli elettori cattolici. Che sono oggi di nuovo una massa capace di fare la differenza.

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