mercoledì 28 settembre 2011

Cattolici, interlocutori, impegno politico

Un partito dei cattolici? O un partito in dialogo con i cattolici, un partito laico di ispirazione cristiana? Il fermento nel mondo cattolico va di pari passo con la crisi della politica, e le parole del cardinal Bagnasco lunedì segnano una tappa importante di questo percorso. Per i cattolici non è più il momento di stare a guardare e delegare ad altri la guida della società. E questo vuol dire anche politica. In che modo, è da vedere. Ma certo il protagonismo attivo in politica è diventato un’urgenza. Finora, con i progetti del PDL e del PD (sembra antiquariato, ma siamo ad appena tre anni fa), il mondo cattolico si era illuso di poter vivere un ruolo protetto sotto l’ala di altri, magari riuscendo a mettere a segno qualche colpo sulle cose più importanti, soprattutto esercitando un diritto di veto su alcune tematiche specialmente di bioetica. I valori non negoziabili. Ma ora molto sta cambiando. Prima di tutto in politica. È evidente il fallimento del PDL e del PD, e in particolare il fallimento di Berlusconi. È altrettanto evidente l’irrilevanza cui i politici cattolici sono condannati in quelle condizioni. Persino il potere di veto si erode, perché a forza di stare sulla difensiva si arretra ogni giorno di un passo, e il fronte tiene solo fino a quando qualche singolo politico di buona volontà dà il sangue per impedire che crolli tutto. Ma poi le crepe si vedono. Esemplare e illuminante il caso dell’ordine del giorno (insensato e inconcludente) sulla presunta ICI che la Chiesa dovrebbe pagare oltre quello che fa: i cattolici del PD lo hanno appoggiato compatti, quelli del PDL (e anche della Lega) si sono astenuti permettendo che fosse approvato. Solo l’UDC si è opposto compatto a questo esercizio di infondato anticlericalismo. E questa è già una plastica risposta su chi può e deve interloquire con il mondo cattolico. Secondo punto: i cattolici non riescono ad essere propositivi. A parole tutti condividono i temi di fondo, ma poi in Parlamento non succede niente. Si pensi alla famiglia: tutti ne parlano per chiedere voti, ma poi nel concreto cosa è stato fatto in suo favore? Nulla, anzi è stata tartassata dalle ultime manovre. Anche qui, solo l’UDC ha tenuto una posizione ferma e costante nel chiedere di mettere la famiglia al centro delle politiche di sviluppo e di quelle fiscali. Gli altri fanno i sordi. Questo però non è solo colpa dei politici: evidentemente la società civile cattolica ha almeno in parte smarrito la sua capacità di farsi ascoltare. Ed è questa che deve recuperare. Un movimento che ridia forza di massa critica alle diverse attivissime realtà di ispirazione cattolica. Ma un movimento che è chiamato ad assumersi delle responsabilità: perché per avere peso oltre ad essere compatto deve essere anche capace di fare delle scelte. Scelte sugli obiettivi, ma anche scelte sugli interlocutori. Si può parlare con tutti, ma si deve privilegiare chi condivide la stessa ispirazione e porta avanti le stesse battaglie. In questo senso è innegabile che l’UDC sia in prima fila, pronto e lieto a diventare interlocutore di questo movimento dei movimenti. Il mondo cattolico deve accettare di riconoscere degli interlocutori privilegiati a patto che questi ne rappresentino le istanze, e l’UDC deve aprirsi ancor di più a queste istanze, anche preparandosi a diventare il fulcro di una cosa rinnovata e più ampia. Un qualcosa che abbia un rapporto vitale con la società civile di ispirazione cristiana, una forte osmosi con veri interscambi di idee, programmi e anche di persone. Rendendo forte e chiara la propria ispirazione cristiana, non confessionale ed apertissima ai laici, ma chiaramente identificabile, nel senso sturziano che è nelle sue radici e nel senso crociano di radici culturali cristiane comuni anche ai non credenti.

lunedì 26 settembre 2011

Vasco, io e Dio

Incredibile. Vasco Rossi parla di me sulla sua ormai famosissima pagina di facebook. Come fare a restare indifferenti? Andiamo con ordine. Il rocker si riferisce al mio precedente post, che ha letto sul quotidiano Liberal (complimenti all'ufficio stampa, non gli sfugge niente). E mi cita su fb:
"‎(s)consigli di lettura:
non riesco a tener dietro a tutte le idiozie che leggo sui giornali. pare che ogni pubblicista sia diventato opinionista...e straparli su di me.
ve ne segnalo oggi solo due:
giorgio comaschi e la sua delicata, mielosa, inutile e falsa Lettera ...sul Carlino
e un certo osvaldo baldacci ...che....scrive e delira su "liberal" ....con titoli da capogiro...."La caduta degli eroi"...(!?) che...visto che cita LadyGaga, Amy Winehouse e il sottoscritto avrebbe almeno dovuto essere "La caduta degli DEI"!!"

Wow. Che dire. "Non riesco a tener dietro a tutte le idozie che leggo sui giornali". Saranno tante, tantissime. E tra tutte sceglie proprio di parlare di me. Idiozia per idiozia, se davvero sono tante, il fatto che abbia scelto proprio la mia non è male. Siccome non è certo l'autore che conta, sarà mica il contenuto che lo ha colpito? Interessante. Confesso di interrogarmi a mia volta su Vasco. Istintivamente lo avverso. Rappresenta e propugna il contrario di quello che io credo invece sia utile al mondo. E non lo nasconde: lui non vuole essere utile, crede che nulla sia utile. E' qui la differenza profonda tra noi due. Con la differenza che io come una formica presuntuosa mi batto per fare la mia parte, lui invece che predica il disimpegno e il nichilismo ha in realtà una grande responsabilità che gli deriva dai tanti che gli danno retta. Volente o nolente è un modello, quello che canta diventa un riferimento. Ed è, a mio avviso, un cattivo riferimento. Ma non tutto è perduto.
Questo blog vuole parlare di libertà: beh, non è la libertà come la intende Vasco Rossi, non è la libertà che canta ne "I soliti", non è la libertà che possa vivere divorziata dalla responsabilità. Credo di avere la libertà di pensarlo. Senza offesa per nessuno. Anche se lui mi sembra un po' permalosetto, visto che se la è presa per poche righe su due paginoni di un giornale che non lo citava né nei titoli, né nei sommari né nelle foto. Era solo un inciso, o forse sarà proprio questo che lo ha indispettito?
Poi mi resta un dubbio: non può essere mica arrivato proprio alla frutta, piuttosto tutto sommato riesce ad essere simpaticamente autoironico, vero? Se la prende col titolo (che per la verità non è mio: io nel post sul blog comunque avevo fatto riferimento a lui con la vita spericolata): "La caduta degli Eroi? visto che cita LadyGaga, Amy Winehouse e il sottoscritto avrebbe almeno dovuto essere 'La caduta degli DEI'!", scrive Vasco. Scusate se è poco... spero sinceramente per lui che facesse il simpatico, perché se invece ci credesse... No, non può essere, è autoironico, va apprezzato.
E poi Vasco spiegami... Parli di Dei? ma se tu dici di non crederci? Sarà questo il corto circuito che ti sta facendo soffrire? Credi di essere un dio in cui non credi? "Ti prego perdonami se non ho più la fede in te Ti faccio presente che Ho quasi finito Ho quasi finito anche la pazienza che ho con me" canti rivolto a Dio nel "Manifesto futurista della nuova umanità". Un manifesto prevede il desiderio di indicare un modello. Quindi si può dissentire da quel manifesto. Ma forse non serve. Forse con le tue contrastanti posizioni personali di queste settimane e delle ultime canzoni stai mettendo in mostra una grande lotta con te stesso, stai dicendo che c'è una parte di te ribelle a quello che ostinatamente continui a propagandare. Che è arrivato il momento di un bilancio vero sul senso profondo della vita. Forse con un ultimo ostinato rifiuto di Dio stai affermando che lo cerchi disperatamente. Che vuoi trovare quella pace e quella serenità che non ti ha dato la vita da rockstar da cui ti sei dimesso. "Abbiamo frequentato delle pericolose abitudini E siamo vivi quasi per miracolo". Ancora il soprannaturale? Sicuro che quelle pericolose abitudini ti abbiano soddisfatto? O piuttosto ti hanno lasciato una grande immenso vuoto dentro che oggi cerchi disperatamente di riempire? Quando la vita chiede di fare i conti, quali abitudini vuoi suggerire di frequentare ai tuoi giovani fan? L'abitudine del disprezzo per la vita o l'abitudine di cercare Dio? "Sarà difficile Non fare degli errori Senza l’aiuto Di potenze Superiori". E' difficile anche con il Suo aiuto, per la verità. Ma se non pensiamo di essere noi il dio al centro dell'universo, se ammettiamo i nostri limiti, il nostro essere creature e creature fallibili, la fatica è più sostenibile e soprattuto acquista un senso, "dare un senso a questa vita" che un senso ce l'ha. E quel Dio allora, quello al centro dell'Universo, che sta lì per noi, diventa non un rivale, non un vuoto, ma un grande sostegno che col suo amore ci riempie. Anche se tu Vasco non credi in lui, Lui crede in te, fino all'ultimo.

sabato 24 settembre 2011

Vita spericolata o vita sacrificata? Eroi quotidiani e modelli antieroici

Fortunato il Paese che non ha bisogno di eroi. L’Italia non è un Paese fortunato, perché ne ha molto bisogno. E per di più è doppiamente sfortunata perché non riesce più a capire quali siano i veri eroi, e spesso preferisce tributare onori sballati a chi invece è dall’altra parte, sulla riva degli antieroi, dei modelli negativi. Sarebbe ora di rimettere le cose a posto, rimettere ordine nella scale dei valori. È solo con una rinascita morale che l’Italia può salvarsi. Questa crisi economica e di crescita è soprattutto e prima di tutto una crisi di valori, e da lì bisogna ripartire per uscirne.
È per questo che si può considerare eroe Ennio Lupparelli, il 68enne investito martedì sera a San Basilio (Roma) dallo scippatore che aveva appena derubato sua moglie. Ennio non ce l’ha fatta, i medici hanno constatato la morte cerebrale. Ennio e sua moglie Anna, a passeggio per il quartiere in attesa di raggiungere peggio doveva ancora alcuni amici a cena, si sono imbattuti nel loro aggressore, un pregiudicato romano di 33 anni che si è avvicinato ai due pensionati a bordo della sua Panda rossa strappando la borsetta dalle mani della signora Anna. Ha poi tentato la fuga imboccando però una strada chiusa, così nel tornare indietro si è visto sbarrare la strada da Ennio che cercava di reagire: non ci ha pensato troppo e lo ha investito, uccidendolo. Per una borsetta. La famiglia ha autorizzato la donazione degli organi. Cosa ha fatto di eroico Ennio? Già vedo qualcuno dire che forse non ne valeva la pena, che non è stato furbo, e che comunque lo ha fatto per difendere gli affari suoi. E poi ci sarà qualcun altro che andrà oltre, e dirà che la vera vittima è il pregiudicato, che è stato svantaggiato dalla società, che forse non sapeva come tirare avanti, come sfamare la famiglia o chissà che altro. E no, basta con questo rovesciamento di ruoli. Certo la crisi morde, la società è problematica, l’emarginazione è ingiusta e pericolosa, a tutti bisognerebbe trovare il modo di dare l’opportunità di raddrizzare la propria vita. Ma se questo manda in confusione tutti i punti di riferimento, se il buonismo diventa una vera e propria corruzione morale, bisogna dare l’altolà. L’eroe è Ennio, che aveva il sacrosanto diritto di non vedersi strappati via i risparmi, che non doveva vedere la moglie alla mercé di un balordo. Aveva il sacrosanto diritto di essere vivo, e i suoi familiari avevano il sacrosanto diritto di averlo a fianco. È un eroe perché non ha fatto cose spettacolari, clamorose. Ma ha compiuto un gesto di ordinaria quotidianità, e lo ha fatto forse in tutta la sua vita. Quel giorno quel gesto gli è costato la vita. Ha reagito. Non si è rassegnato. Non è l’aver affrontato lo scippatore che ne fa un eroe, ma il suo rifiuto di rassegnarsi a un mondo ostile, cinico, prepotente. Il suo rifiuto di essere complice del fatto che le cose vadano così, e tiriamo a campare. Ha visto un’opportunità di non cedere imbellamente, e lo ha fatto. Che sia morto è una responsabilità che ricade su tutti noi, non certo su di lui, che senz’altro pensava a ben altro esito della sua piccola eroica azione.

Insieme a lui sempre a Roma vanno ricordate le donne che hanno avuto più fortuna, ma che anch’esse meritano una menzione: sempre di scippo si tratta, stavolta al quartiere Balduina. Un uomo ha tentato di derubare una donna: “Quando ho visto quell’uomo - racconta Marcella, la donna che è intervenuta e l’ha fermato - che metteva le braccia intorno al collo di una signora ho iniziato a gridare e gli sono corsa dietro per fermarlo. Ho pensato che se quella donna fosse stata mia figlia avrei voluto che qualcuno la aiutasse. In molti avevano assistito alla scippo ma prima delle mie urla nessuno si era mosso per dare una mano alla signora. Fortunatamente il ladro è inciampato così ho avuto il tempo di raggiungerlo e trattenerlo per qualche secondo attraverso la tracolla del borsello che aveva con sé. A quel punto sono arrivate altre donne che lo hanno tenuto fermo fino all’intervento della polizia. Ecco un’altra eroina, che ha capito un meccanismo elementare, la solidarietà che è vicendevole. Certo, si è eroi ad applicare una cosa tanto elementare perché troppi intorno a noi rifuggono da questo: pensa ai fatti tuoi, pensano e ci ripetono, ci insegnano continuamente. Un individualismo che dà poi i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Non è così che il mondo può funzionare, non è così che l’Italia può ritrovare la sua spina dorsale.

Stiamo facendo un’apologia dell’antiscippo? È questo un grande appello a ribellarsi agli scippatori? Non è questa l’intenzione, non chiediamo a nessuno di mettersi a rischio fuori luogo. È un esempio, una grande metafora, che va ben oltre l’episodio e la casistica specifica. È la reazione contro la rassegnazione, è l’invito a prendersi ciascuno la propria parte di responsabilità per se stessi e per gli altri. E anche un invito a rivedere le nostre categorie mentali per rimettere ordine nei nostri modelli di riferimento. Non si diventa eroi per caso. Non auguriamo a nessuno di diventare eroe, vorrebbe dire che si trova in una situazione estrema. Ma la possibilità di diventarlo, la capacità di esserlo, matura solo attraverso la quotidianità, le piccole cose della vita, le scelte di ogni giorno, i valori in cui si crede. Questo sì che è importante, questo sì che siamo chiamati a esercitare.

E allora riflettiamo, chi sono gli eroi di oggi? La cronaca ogni giorno ci dà adito a riflettere su questo, a farci questa domanda. E se guardiamo i mass media è particolarmente evidente come i modelli che ci vengono proposti sono drammaticamente fuorvianti, sbagliati. Sta allora alla nostra capacità critica rimettere le cose a posto, fare nel nostro piccolo gli eroi non rassegnandoci ai modelli imposti e cambiando le cose. Gli eroi di oggi sono i modelli tv? Sono i tronisti, le veline, i personaggi da reality? Sono le loro vite, le vite di chi ad ogni costo frequenta il mondo dello spettacolo? O persino quelle di grandi atleti (tanto di cappello per i meriti sportivi, ma nella vita?). Sono questi i riferimenti, quelli che vorremmo trasmettere ai nostri figli? Oppure i veri eroi sono altri, che appunto tirano la carretta giorno dopo giorno nell’anonimato m e hanno un solo tesoro, ma il più prezioso la loro dignità intatta?

Pensiamo ai giovani. Se si guarda a cosa raccontano i media, i giovani sono solo quelli di sesso, droga e rock’n’roll. Gli ballati del sabato sera. Quelli che si sentono eroici perché trasgrediscono, fanno a gara a chi si fa più persone, chi si ubriaca, chi fa la follia più assurda, più estrema, anche per la strada. Quelli che hanno la testa imbottita dei modelli televisivi. Ma chi è il vero eroe? Quello che si fa o quello che rifiuta la droga nonostante la pressione del gruppo? Quello promiscuo o quello che rispetta le ragazze? Quello che beve di più o quello che si rifiuta di vere alla guida un ubriaco? Essere eroi vuol dire sapersi ribellare al conformismo, alle pressioni del gruppo.

Eppure i media questi giovani eroi li dimenticano continuamente, li emarginano, persino li irridono. Eppure fortunatamente io di giovani eroi ne vedo tanti. Io vedo giovani che si lanciano con impegno nel mondo del lavoro, che studiano con sacrificio e passione nonostante le difficoltà del nostro sistema. Vedo ragazze e ragazzi che amano curarsi, divertirsi, stare bene, ma che non hanno mai pensato che questo possa essere in contrasto con la capacità di sognare, impegnarsi, assumersi responsabilità, credere. Che amano le discoteche, i cinema e i concerti, ma - lo dicono le statistiche - dedicano altrettanto interesse alla cultura, alle mostre, “persino” ai libri. Viaggiano per divertirsi, ma anche per conoscere il mondo e la gente. Ma dove sono sui mass media i tanti giovani che si spendono per un impegno civile e politico perché credono che il mondo possa essere un po’ migliorato? I Papaboys fanno notizia solo per folklore e scompaiono quando riempiono la vita quotidiana dell’impegno che scaturisce dalla fede? I tanti che per questa o quella idea partecipano a manifestazioni su manifestazioni esistono solo quando invadono le città o scendono in piazza perché hanno qualcosa da dire, giusta o sbagliata ma che si potrebbe anche ascoltare? Quanti giovani mettono la divisa per difendere giorno dopo giorno pace e ordine, ma ce ne ricordiamo solo se vengono massacrati?  Ci sono più aspiranti tronisti e veline o più volontari nelle ong, nelle associazioni, nelle cooperative, nelle parrocchie...? C’è confusione: mi indigno quando vedo che vengono presentati come giovani eroi quei teppisti che nelle manifestazioni black bloc o nei sobborghi di Londra o Parigi scatenano la loro rabbia (a volte comprensibile, perché nasconderlo?) in una violenza cieca che è parte integrante del problema e lo aggrava, non contribuisce certo alla soluzione. E i media godono di poter mandare quelle immagini spettacolari, e qualche maestro di pensiero elogia l’eroismo di chi si ribella. Vergogna. La vera ribellione è quella di chi il mondo lo cambia giorno dopo giorno, con il proprio impegno, con lo studio, il lavoro, e costruendo un mattone per volta il mondo delle relazioni intorno a sé. Non lanciando mattoni. Ai violenti, io preferisco i poliziotti, che quando fanno bene il loro lavoro, nelle condizioni in cui sono costretti, sono dei veri eroi. Come i militari e gli altri delle forze di sicurezza. In politica chi è il vero eroe? L’arruffa popoli sempre più diffuso, l’antipolitico, l’antisistema? Quello che scatena la rabbia della gente e la incanala verso la distruzione sottraendo preziose energie alla costruzione? Oppure l’eroe è quello che non si piega al vento che cambia, non liscia il pelo alla gente, ma dice la verità e percorre tenace la sua strada controcorrente avente ben in mente il bene comune e non il suo successo demagogico?

Chi è il vero eroe? Chi è il modello di riferimento? La persona di successo, ricca e senza scrupoli? Chi ha costruito la propria scalata sui cadaveri degli altri? Chi si è saputo arricchire approfittando della cattiva amministrazione, tra tangenti e truffe? Oppure l’eroe è chi fa onestamente il suo lavoro magari rifiutando le occasioni di illegalità, di facile guadagno? Quanti veri eroi ci sono nella pubblica amministrazione? E persino nella tanto bistrattata politica, a tutti i livelli, partendo dalle realtà locali? Quanti per un po’ di successo, ricchezza, potere, ammirazione hanno venduto la propria anima, e quanti invece l’hanno salvata senza che se ne sappia niente, e anzi ricevendo forse in cambio solo fiele e emarginazione.

O vogliamo parlare di sanità? Quanti veri eroi ci sono nelle pieghe di un sistema oggettivamente più malato dei suoi stessi pazienti? E quanti antieroi? A chi va la nostra ammirazione? A chi lucra su cliniche che non fanno quello che dovrebbero ma intanto i potenti si arricchiscono? Al primario cocainomane che spilla quanti più quattrini possibile da gente che sta male? O all’infermiere che non fa il suo lavoro ma si è ritagliato un ruolo di gestore dei favori e in questo modo si gode il suo piccolo potere e i suoi illeciti arrotondamenti? Tutta gente di successo, tutta gente ammirata in società. Ma marcia. Mentre gli eroi sono tutti quelli, medici, chirurghi, infermieri e portantini, che gettano sangue e sudore per far funzionare un sistema di cui altri si approfittano, e prendono il loro lavoro come una missione e mettono al centro del loro mondo le persone che vanno aiutate, e non spremute.

Qualche esempio di eroi moderni? Chi ad esempio dona gli organi per salvare delle vite, nonostante in quel momento provi un immenso dolore e forse rabbia per la persona cara che gli è stata strappata via. E che vogliamo dire di chi resiste alla mafia, rifiuta di pagare il pizzo, sporge denuncia? Saranno più eroici questi comportamenti o quelli di qualche membro dello star system intento a preoccuparsi di un vestito, di un’unghia, di un amante? Cosa c’è di eroica nell’essere un’icona pop? Beh, mi attirerò qualche antipatia, ma io non trovo niente di eroico, niente di esemplare in Lady Gaga che bercia conciata da pagliaccio (con tutto il rispetto per i pagliacci), in Vasco Rossi che fa i suoi sconnessi predicozzi di vite spericolate (l’antieroe per eccellenza, il cattivo esempio più esemplare, a mio modesto avviso), in Amy Winehouse e negli altri idoli che poveracci sono morti a 27 anni a seguito della vita che hanno condotto: mi possono fare pena come vittime di un sistema che li ha sfruttati da vivi e da morti, ma dev’essere chiaro che ci sono dei carnefici e altrettanto chiaro che se quei ragazzi cantavano canzoni apprezzate, questo non vuol dire che sono icone e le loro vite modelli. Non bisogna fare confusione tra talento ed esempio. Se si riesce a distinguere, bene, altrimenti è certamente meglio buttar via le canzoni insieme al cattivo esempio, piuttosto che buttare i valori per salvare le canzoni. Ma purtroppo succede spesso il contrario.

L’elenco degli eroi di oggi e dei contrapposti modelli antieroici che ci vengono propinati potrebbe essere infinito. Ma il tono ormai lo abbiamo capito. Mi resta un ultimo esempio. Chi è il vero eroe? Il mago che promette di venderti un figlio ad ogni costo, ad ogni età, in ogni modo, con ricchi guadagni? Gli aspiranti genitori che quando si sentono appagati della loro vita pensano sia arrivato il momento di comprarsi un giocattolo nuovo in forma di bimbo? Oppure oggi in Italia è eroico fare i figli quando è il momento, nonostante tutto remi contro la famiglia, e quindi contro il futuro?

Osvaldo Baldacci

mercoledì 21 settembre 2011

E se il bipolarismo fosse solo una bugia?

Un fantasma si aggira per il mondo. Anzi non si aggira per niente, anche se molti ci credono. È il bipolarismo, con eventuali pulsioni bipartitiche e collegati maggioritari. Sembra che in tutto il mondo questa sia la situazione politica e dei sistemi elettorali. E l’Italia si deve adeguare. Il fatto clamoroso è che è completamente falso. Non si tratta nemmeno di un mito, o di un misterioso animale leggendario. No, è proprio una balla. Ripetuta tante volte che gli italiani ci hanno creduto a lungo, e qualcuno nell’attuale panorama politico continua a ripeterlo nel tentativo di perpetuarsi. Ma sveliamo che il re è nudo. Il bipolarismo non esiste. Da nessuna parte. E anche i pochi modelli maggioritari che tentano di forzare verso un bipolarismo hanno clamorosamente fallito nel loro intento. Certo, se per bipolarismo si intende la dinamica tra maggioranza e opposizione, questa esiste ovunque, seppur articolata. E nessuno è contrario a questo. Se poi per bipolarismo si intende che esistono due maggiori aree politico-culturali di riferimento, a prescindere dal numero di partiti e anche dalle alleanze, questo si verifica spesso, e ha un senso. Ma se il bipolarismo è quello mitico sventolato da politici e politologi italiani, beh, di quello proprio non c’è traccia. Nessuna. O meglio, in Europa un caso bipolare c’è, ma non so se possa fare da scuola: è Malta, dove esistono due soli partiti che si alternano al governo, il Partito Nazionalista e il Partito Laburista (e comunque nel 2008 il 2% dei maltesi ha scelto altre forze politiche minori). Con una piccola precisazione: al di là delle minime proporzioni del corpo elettorale maltese, e del fatto che si fa fatica a vedere la bella isola come modello istituzionale mondiale, quel che più conta è che il sistema elettorale maltese è proporzionale. Sì, proporzionale, con un minimo premio di maggioranza solo se serve, nessun impedimento alla nascita di nuove forze politiche. È solo che lì, per ora, non servono. Ma tolta Malta, lo scontro finale e allo stesso tempo permanente tra due fazioni politiche non va di scena in nessun Paese europeo, e in realtà neanche altrove, nemmeno negli Stati Uniti se si prende in considerazione la forma dogmatica e di comodo di certi apostoli italiani. D’altro canto per capirlo basterebbe guardare al Parlamento Europeo, dove i deputati dei vari Paesi sono divisi tra molti gruppi, oggi sette, nei quali si collocano anche forze politiche che a volte fanno più fatica ad essere presenti nei rispettivi parlamenti nazionali.
È il caso della Gran Bretagna, patria del modello anglosassone idolatrato come bipolare o meglio ancora bipartitico. Mai stato. E le ultime elezioni lo hanno smentito clamorosamente. Certo, storicamente le due forze maggiori sono i Conservatori e i Laburisti, chi lo discute, ma da sempre esistono altre forze importanti che hanno pesato anche quando il sistema maggioritario ha impedito loro di entrare in Parlamento. È il caso dei Liberal-Democratici, che hanno sempre raccolto consensi a due cifre, e che nonostante ogni avversità istituzionale siedono ora nel governo di coalizione (sì, di coalizione) cui hanno costretto i conservatori. A maggio il partito di Clegg è stato scelto dal 23% degli elettori ed è risultato decisivo, anche se un po’ meno delle attese, e tra le sue richieste incontestabili ha posto la riforma della legge elettorale in senso proporzionale. Sacrilegio nel tempio del bipartitismo! D’altro canto forse bisogna ricordare che anche prima dei liberali la Camera dei Rappresentanti era “contaminata” dalla presenza di altri partiti minori, spesso decisivi per le maggioranze. Nell’attuale Parlamento di Londra ad esempio siedono anche sei eletti del Partito Nazionale Scozzese, cinque del Sinn Fein, 8 del Partito Democratico Unionista, 3 del Plaid Cymru, 3 del Partito Social Democratico e Laburista, un Verde e persino un indipendente. A queste realtà vanno aggiunte altre forze politiche divenute importanti, a volte rappresentante a Strasburgo, ma assenti da Westminster: il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (che ha comunque superato il 3%), il Partito Nazionale Britannico (al 2%) e il Partito Unionista dell’Ulster. Un certo affollamento per una realtà dove il dogma prevede che esistano solo due partiti.
Per restare nelle isole, l’Oireachtas, il parlamento bicamerale irlandese formato da Seanad Eireann e Dàil Eireann, è eletto col sistema del voto singolo trasferibile (lo stesso di Malta), che associa la scelta ordinale dei candidati ad un'alta proporzionalità. I principali partiti sono tre: il Fianna Fàil, il Fine Gael e il Partito Laburista. A questi sugli scranni della Camera si affiancano il Sinn Féin, i Verdi e i Socialisti. Attualmente poi 4 deputati sono classificati come indipendenti.
La situazione della mitica Scandinavia non è tanto diversa: molti partiti, governi di coalizione, addirittura maggioranze costrette a reggersi su appoggi esterni. È fresco nella memoria il caso della Svezia, dove per la prima volta la destra populista è entrata in Parlamento e ha costretto il premier di centrodestra a un governo di minoranza, dopo che sono falliti i tentativi – legittimi e non criticati – di portare i verdi dalla coalizione d’opposizione a quella di governo. D’altro canto, in Svezia vige una legge elettorale proporzionale. Con i nuovi arrivati Democratici di Svezia (decisivi per l’elezione del presidente della Camera), i partiti che hanno superato lo sbarramento del 4% e sono presenti nel Parlamento monocamerale di Stoccolma sono ora otto, con i tradizionali Partito Socialdemocratico Svedese, Partito Moderato Unito, Verdi, Partito Popolare Liberale, Partito di Centro, Democratici Cristiani, Partito della Sinistra. Non molto diversa la situazione in Finlandia, con un Parlamento unicamerale eletto proporzionalmente. I 200 deputati sono eletti nei 16 distretti. Il primo ministro è nominato dal Presidente della Repubblica, dopo le consultazioni parlamentari. Nelle elezioni del 2007 i tre principali partiti sono arrivati molto vicini gli uni agli altri, il Partito di Centro, il Partito di Coalizione Nazionale, il Partito Socialdemocratico Finlandese. Quasi al 9% anche l’Alleanza di Sinistra e la Lega Verde, mentre hanno conquistato seggi pure il Partito Popolare Svedese, i Cristiani Democratici, i Veri Finlandesi e un movimento minore. Anche qui, proporzionale, almeno otto partiti, più poli. Anche in Danimarca governo di coalizione, con appoggio esterno. Il Folketing è eletto proporzionalmente con sbarramento al 2%, e ha il potere di sfiduciare il governo e di cambiarlo. Alle politiche del 2007 hanno partecipato 9 partiti principali più i rappresentanti di Groenlandia e Faroer e altri minori, e otto hanno conquistato rappresentanza parlamentare. Insomma, questi scandinavi dovrebbero proprio vergognarsi: multipartitismo, sistema proporzionale, governi di coalizione. Una eresia.
Al di là del Mar Baltico stessa solfa. In Lituania il sistema elettorale prevede metà eletti in collegio e metà col proporzionale con sbarramento al 5%, cosa che nel 2008 ha fatto entrare in Parlamento 10 partiti che hanno dato vita a un governo di coalizione. Anche la Lettonia è una Repubblica Parlamentare, con proporzionale e sbarramento del 5%, superato lo scorso due ottobre da 5 coalizioni a loro volta formate da più partiti, con molto rilevanti variazioni del numero dei seggi. Una delle alleanze che è entrata alla Camera era assente nel 2006, mentre non ha superato la soglia il partito Per i Diritti Umani nella Lettonia Unita che aveva sei deputati nella scorsa legislatura. Oltre il 4% dei voti è andato ad altri schieramenti: in queste giovani democrazie la variabilità dei partiti è ancora frequente. Il parlamento è sovrano anche in Estonia, e dal 2007 vi siedono sei partiti, mentre altri due movimenti maggiori non hanno conquistato seggi. Ovviamente il governo è di coalizione, nessuno avendo raggiunto la maggioranza assoluta.
Veniamo ora al cuore dell’Europa, forse con una ricerca altrettanto puntigliosa almeno lì troveremo questo mitico sistema bipolare. Proviamo col Benelux, che della Ue è un cuore pulsante. Dunque, il Belgio no, non è un caso che fa per noi. Macché, meglio guardar proprio da un’altra parte: in Belgio persino i partiti di livello internazionale come popolari e socialisti sono divisi in due, una formazione fiamminga e una vallone. Per non parlare dei movimenti germanofoni e della miriade di altri partiti a metà tra il localismo e le idealità globali. Facendo un conto sommario, attualmente si possono registrare oltre venti partiti politici, di cui dodici siedono alla Camera. Che dire dell’Olanda? Beh, si ricorderà il dibattito provocato dalle forze populiste accusate di xenofobia, prima con Pim Fortuyn, ora con Geert Wilders divenuto il terzo partito d’Olanda, il cui appoggio esterno è stato determinante per formare il governo liberal-democristiano dopo mesi di inconcludenza. Nel Parlamento eletto quest’anno i partiti sono dieci, e altri ancora sono rimasti fuori. Ma forse almeno nel piccolo Lussemburgo ci sarà questa semplificazione del sistema a due partiti o almeno due blocchi? Su duecentomila elettori, i partiti mandati alla Camera sono sei, a coprire tutte le tradizioni classiche (popolari, socialisti, verdi, sinistra).
Della Germania e della Francia è quasi inutile parlare. In Germania di recente la Corte Costituzionale ha respinto alcune modifiche alla legge elettorale perché non garantivano a sufficienza il criterio fondante della proporzionalità. La Germania è uno dei Paesi politicamente più stabili e dal dopoguerra ha avuto appena un pugno di Cancellieri. Eppure ha provato quasi tutte le coalizioni possibili (la stampa tedesca si diverte a dare loro soprannomi secondo l’accostamento dei colori), coalizioni formate dopo il risultato elettorale in base alle possibilità che gli elettori sono andati a creare. Sono ormai almeno sei i partiti storici tedeschi, a partire dai democristiani che però in realtà sono divisi tra la CDU nazionale e la CSU bavarese. Poi ci sono i socialdemocratici, la sinistra (Linke) nata dalla fusione dei comunisti con i fuoriusciti della SPD, i Verdi, i Liberali. Esistono poi altri partiti e fanno parlare di sé soprattutto quelli di destra, ma per ora non sono mai riusciti a valicare la soglia di sbarramento. La governabilità è garantita dalla sfiducia costruttiva e in diversi momenti importanti della Germania si è dato vita a una Grosse Koalition tra popolari e socialisti, senza scandali e lasciandosi serenamente per le elezioni successive. Un sistema simile vige nella cugina Austria, nella cui Dieta nazionale trovano spazio cinque partiti, tra cui un paio di movimenti populisti diventati importanti da Haider in poi. Anche qui non è un’eresia la Grande coalizione tra socialisti e democristiani, al governo dal 2006. Dicevamo della Francia dalle grandi personalità presidenziali. Ebbene anche qui, come è noto, nonostante i personalismi e un sistema elettorale a doppio turno che favorisce i partiti maggiori non c’è modo di ridurre a due le realtà politiche. Nonostante la relativamente recente fusione di diverse forze del centro-destra nell’Ump, all’Assemblea Nazionale sono rappresentati numerosi partiti politici. Tre per la maggioranza, quattro per l’opposizione di sinistra, uno per l’opposizione di centro. Resta inoltre fuori il Fronte nazionale. Due seggi sono appannaggio di “altre liste”, mentre indipendenti e movimenti minori hanno 9 deputati che appoggiano la maggioranza e 15 schierati con la minoranza. Il ballottaggio presidenziale e la forte connotazione dei leader è solo una maschera che non può cancellare la pluralità politica del sistema francese.
Non è poi nel Mediterraneo che possiamo andare a cercare la chimera del bipartitismo anglosassone, anche se poi si finisce per scoprire che la prevalenza di due blocchi culturali è più facile dove non ci sono forzature. È il caso spagnolo e quello greco, ad esempio. In Spagna il sistema politico è basato sul multipartitismo anche se di fatto la contrapposizione storica è tra Popolari e Socialisti, ma non si governa senza i tanti partiti minori, specie quelli di stampo localistico. Nell’attuale Congresso sono rappresentati dieci partiti, di cui almeno cinque regionalistici. I Socialisti di Zapatero governano ma da soli non raggiungono la maggioranza dei seggi. Anche in Portogallo la scena gira intorno a due partiti prevalenti, il Partito Socialista e il Partito Social-Democratico (che è di centro-destra), ma hanno più di 15 deputati a testa anche il Partito Popolare, il Blocco di Sinistra e la Coalizione Democratica Unitaria. Anche qui, senza i partiti minori non si governa. È semmai in Grecia che il sistema elettorale favorisce la formazione di governi omogenei, grazie a un complesso sistema che è a rappresentanza proporzionale, ma poi premia il primo partito e penalizza il secondo. In questo modo nella giovane democrazia si sono alternati al governo i socialisti del Pasok e i rivali di Nea Demokratia, senza che questo escluda dall’azione politica altri movimenti di varia ispirazione, dagli ortodossi ai comunisti ai verdi, una decina di partiti alcuni dei quali presenti ad Atene (oggi tre per una cinquantina di seggi) o Strasburgo. A Cipro il governo è di coalizione fra tre partiti di sinistra, mentre all’opposizione si collocano il Raggruppamento Democratico, i Verdi ed Euro-Ko.
Per chiudere il discorso dell’Unione Europea, restano i Paesi dell’est, i quali troppo a lungo si sono trovati con un partito solo perché ora possano accontentarsi di due. In nessuna di queste realtà vige una forma di bipolarismo stretto. Non certo in Polonia, dove il governo è arrivato ad essere formato da una coalizione di sette partiti. Al voto del 2007 i movimenti si sono presentati alle urne in alleanze elettorali quattro delle quali sono entrate in Parlamento. In Ungheria esiste una quota uninominale e una proporzionale, e i partiti che hanno conquistato seggi ad aprile sono quattro più un indipendente, con almeno un quinto partito importante tra quelli rimasti fuori. In Bulgaria per entrare all’Assemblea Nazionale i partiti o le coalizioni devono superare il 4% con un sistema proporzionale in collegi plurinominali. A luglio si sono presentati otto partiti o cartelli di partiti (i partiti sono di più) più alcuni minori, e in Parlamento sono ora presenti sei gruppi politici. Anche la Romania presenta un sistema con numerosi partiti politici che si devono accordare per formare governi di coalizione, nonostante il sistema di collegi in cui i partiti devono superare il 50%. I cartelli elettorali (a volte composti da più partiti) che hanno superato il voto del 2008 sono cinque, con un altro paio di movimenti importanti che però non hanno ottenuto parlamentari. Nella Repubblica Ceca la scena politica è stata dominata da quattro grandi partiti, circondati da partiti minori. Ma nelle elezioni del 2010 hanno fatto il loro debutto due nuovi partiti che sono riusciti a conquistare il terzo e il quinto posto. In Slovacchia i deputati sono eletti con sistema proporzionale con sbarramento del 5%, che nel 2010 è stato superato da sei dei numerosi partiti presentatisi, peraltro con la maggioranza relativa andata ai socialdemocratici e la maggioranza complessiva andata a formazioni di centro-destra. Vicino a noi, in Slovenia, vige un sistema elettorale misto maggioritario-proporzionale che ha portato alla Camera nove partiti più i rappresentanti di italiani e ungheresi.
E così, Italia a parte, abbiamo fatto il giro di tutta l’Unione Europea. Di sistemi ingessati su due fazioni non abbiamo trovato traccia.
Osvaldo Baldacci

lunedì 19 settembre 2011

Deja vu 1993, vent'anni persi

Promette grandi novità questo autunno del 1993. Si susseguono scandali ma la scena italiana verrà presto rivoluzionata, o almeno così potrebbe sembrare. Si prepara una gioiosa macchina da guerra che potrebbe portar stabilmente al governo del Paese la sinistra, con le use idee innovative e un pensiero socio-economico pronto per reggere il confronto della modernità e lanciare l’Italia tra gli astri del mondo globalizzato. La sua triade di alfieri, Bersani, Vendola e Di Pietro, avanza spavalda accompagnata dalla signora della CGIL. Pensano di aver già in mano il Paese e che una volta che saranno stati tolti di mezzo dai giudici quelli di prima, il loro regno sarà incontrastato, un vero paradiso dei lavoratori. Loro poi sono gli incorruttibili. Qualche testa esposta in piazza e poi risorse infinite da distribuire a tutti, per far contenti tutti, costringendo a forza di retorica le imprese a investire in Italia.
Ma non è l’unica brillante novità che si affaccia all’orizzonte. Dall’altro lato dello schieramento politico i giovani rampanti come Alfano sono entusiasti per le prospettive che vengono messe in campo dall’attaccamento alla politica di un grande imprenditore dal carisma trascinante, quel Silvio Berlusconi che incanta larghe fasce della popolazione promettendo meno tasse, più crescita, meno vincoli burocratici, il completamento delle grandi opere. Forse finalmente il leader capace di portare in questo Paese quella rivoluzione liberale che può rilanciare l’Italia tra gli astri del mondo globalizzato. Un personaggio ben noto all’estero e dal sicuro impatto sui mercati internazionali. Ben si comprende perché i colonnelli del PDL, gli Alfano, i Formigoni e tutti gli altri vedano in lui la stabilità del presente e la promessa per il futuro.
Terza novità dirompente di questa stagione è rappresentata da un tale Umberto Bossi. Con lui la Lega si appresta a mietere grandi successi sulla base di parole d’ordine senz’altro sospette ma che comunque hanno una loro forza e possono fare da traino per lanciare l’Italia (o almeno la Padania) tra gli astri del mondo globalizzato. Bossi e la sua famiglia (ops… la sua gente) gridano contro i lacci e lacciuoli di Roma, le tasse, la burocrazia. Pretendono efficienza, efficacia, uno Stato al servizio dei cittadini e non il contrario. Sono legalisti al punto da essere forcaioli, non possono neanche sentire l’odore di corruzione, inciuci, affari. Per loro le manette non devono guardare in faccia a nessuno, non si faranno tirare in mezzo a compromessi di potere per sostenere politici inquisiti. Certo, sono un po’ estremisti, e spesso si richiamano alla secessione e usano toni da film di serie B, ma speriamo sia solo folklore e propaganda. Forse una mano a scuotere questa Italia (tutta l’Italia) riusciranno a darla.
Quindi, apprestiamoci a una stagione di grande rinnovamento, di grandi novità, di grande rilancio per l’Italia. Le migliori premesse ci sono tutte in questo caldo autunno politico del 1993. Come? Siamo nel 2011? Porca miseria, un deja vu.
Osvaldo Baldacci

venerdì 16 settembre 2011

Vallettopoli, era qualche anno fa, è tutto uguale

Ricordate Vallettopoli? Sono passati pochi anni (2006-2007), sembra un'eternità, ma tutto sembra uguale. Sveglia! Ecco quello che scrivevo a quei tempi, non so se c'è una virgola da spostare

Per Vallettopoli la colpa è nostra
Disgusto. È ciò che provo di fronte all’ennesimo scandalo italiano. Disgusto per il marciume che contiene, ma soprattutto per come ad esso reagiamo. Non è solo questione di foto e ricatti, di intercettazioni e sesso, di vallette, politici e giornalisti.  È questione della nostra società e della sua incapacità di guardarsi allo specchio. Un tempo per stordire la plebe gli imperatori romani ricorrevano a “panem et circenses”, mentre noi stiamo tralasciando persino il pane, e siamo talmente impegnati nello spiare come guardoni le vite sessuali di gente che è solo un falso modello che ci dimentichiamo di vivere la nostra di vita. Ma tutto ciò non nasce dal nulla: troviamo il coraggio di dire che abbiamo perso il senso morale. Difficile districarsi in questa palude di melma. Non mi sta bene chi, con snobismo che maschera paura, se la cava volendo imbavagliare l’informazione,  dicendo che “i fatti loro sono privati e vanno tutelati”. Ma su quel “loro”quanta ipocrisia. I “fatti loro” ci vengono riversati addosso quando fa comodo, e negati quando cominciano a mettere paura ai potenti. Non vi sembra una presa in giro mettere il bavaglio in nome della privacy di tutti i semplici cittadini, quando in realtà non ci si è preoccupati di violare la privacy neanche di calciatori e starlette?
E perdipiù ci si accanisce su chi pubblica le notizie, fingendo di ignorare chi le fornisce. Cioè gli uffici della giustizia. Inchieste che vengono trasformate in armi mediatiche spiattellando delicatissimi e riservati strumenti di indagine come intercettazioni e interrogatori, col rischio non tanto di finire in un pettegolezzo, ma di togliere ogni forza a questi strumenti,  inibendo la spontaneità dei testimoni. Difesa corporativa dei giornalisti? Macché, sono forse la parte peggiore di questa storia, non perché pubblicano, ma per come scelgono. Ormai molto giornalismo è solo voyeurismo, si cerca solo il sensazionalismo, il titolo gridato, lo scandalo,  la pruderie, non certo la notizia. Questi media ci stanno assuefacendo al peggio, ci ottundono la ragione e ci gettano in balia della parte peggiore dei sensi. Riscoprire la deontologia, il senso dell’onore, ma forse anche solo il senso della notizia e la voglia di cercare la verità sarebbe un bel passo avanti. Ma se questa società vive di questo schifo, beh forse pubblicare questa roba è l’unico modo per far scoppiare i bubboni che altrimenti si incancrenirebbero.
Ma poi diciamoci l’ultima verità: la colpa di tutto questo è nostra. Sei tu lettore che determini questo schifo. Lo alimenti se veneri come onnipotenti persone che si comportano come bestie, se preferisci spendere i tuoi soldi e il tuo tempo per essere informato sulle perversioni di personaggi falsamente importanti, se accetti che ti si dica che qualunque perversione è un fatto privato che al massimo ti può incuriosire, e il bene e il male non esistono (questo è il punto cruciale)  ma ciascuno ha il diritto di fare qualunque cosa senza essere giudicato neanche se è lui stesso a proporsi come figura pubblica: “Veneratemi per i miei (apparenti) pregi, ma non permettetevi di sindacare i vizi”. E noi ci caschiamo.

giovedì 15 settembre 2011

Un paese di merda? Prima l'Italia

Basta, basta, basta. C’è una crisi che non si è mai vista. L’Italia è sotto attacco diretto. La crescita è azzerata. La disoccupazione corrode il Paese. Ai giovani è rubata ogni speranza di futuro. La malavita avanza. I nostri militari sono impegnati a rischio della vita in Afghanistan, in Libano e in mille altri posti del mondo. In Libia c’è la guerra. In Siria, in Iran e in altri Paesi una brutale repressione. Nel Nord Africa tutto ribolle e si deciderà del destino del nostro Mediterraneo, dove intanto la nostra sorella Grecia affonda. L’euro è a rischio. Negli Stati Uniti, in Russia, a Bruxelles ci sono sfide che decideranno della vita di tutti noi, mentre l’emergere prorompente di Cina, India, Brasile & company cambia l’aspetto del pianeta.
E da noi, porco cane, si parla solo e soltanto delle mignotte di Berlusconi e cabaret vario. Ma non viene di ribellarsi? Non se ne può più. Ancora oggi le prima pagine di tutti i giornali nazionali, ci puoi scommettere, apriranno con Manuela Arcuri cui era promesso Sanremo se si fosse concessa, ma pare abbia rifiutato. Ma chissenefrega. Non se ne può più dell’immagine che viene data dell’Italia, a noi e all’estero. Non se ne può più di queste armi di distrazione di massa. Non se ne può più di questa gara a chi produce più fango e a chi lo rimesta. Possibile che non ci sia un sussulto di indignazione collettiva, di orgoglio nazionale, che dica basta, basta, basta. Non ci rappresentate. Non ci rappresentano i politici, l’elite (!?) socio-economica, i maestri di pensiero, gli opinion maker, che in questo fango sguazzano, e non ci rappresentano i giullari e i menestrelli di questo mondo, che si ridestano dal torpore della loro incapacità solo quando sentono la puzza di sangue, sesso e merda.
Vogliamo solo persone serie, capaci di visione, che mettano al primo posto l’Italia. Astenersi demagoghi. Qui c’è da rimboccarsi le maniche per ripulire il Paese dal letame che è stato accumulato. Ma la prima pulizia va fatta in noi stessi, nei nostri cuori, nei nostri occhi. In modo che possiamo disintossicarci da questo clima cui ci siamo assuefatti, e possiamo guardare tutto con sguardo limpido. Per renderci conto che di letame ce n’è tanto, ma va spalato, non esaltato. Però per fare questo salto di qualità occorre una operazione di verità che ha almeno tre bersagli: l’elite, i media, la società.
È vero che i giornali parlano, sparlano e straparlano di scandali, tresche, e immondizia varia. Ma deve essere altrettanto chiaro che il punto di partenza è che questo è vero, è quello di cui davvero si occupa una bella fetta della elite che ci governa. Non solo il premier, inoltre, ma tanti altri tra i politici ma anche nel “bel mondo”, che secondo quello che ci hanno propinato per decenni è “bello” anche proprio per questo. No, non è bello, fa schifo. Sesso, droga, strumentalizzazione del potere non sono il bel mondo, sono la feccia. E questa verità dev’essere sparata in faccia non solo a Berlusconi ma a tutta quella classe che ha voluto imporre questo punto di vista, tanti maestri di pensiero, pseudo intellettuali, sessantottini e libertini di ogni fazione. In questo senso in qualche modo il comportamento di Berlusconi è il frutto estremo, e forse la vittima, di questa mentalità che ha infettato l’Italia. Berlusconi e il berlusconismo sono il frutto maturo del sessantottismo e della cultura radicale di massa. Lui fa solo più in grande, come sempre, quello che troppi hanno esaltato come un optimum, per poi oggi fare i moralisti per mera strumentalizzazione politica. Certo, non si può però nascondere che all’interno di questa elite marcia le vicende degli ultimi anni che avrebbero coinvolto il governo e il presidente del consiglio appaiono come una vetta di decadenza che supera ogni versione del Satyricon. Cosa che è infinitamente grave non solo e non tanto per i risvolti morali (soprattutto a livello di esempio), ma soprattutto perché si evidenzia sempre più come ci sia un importante realtà istituzionale (non solo il premier ma anche molto di quello che lo circonda) che non rispetta il decoro delle istituzioni e ancor peggio si infila in giri infimi che sono in grado non solo di assorbire completamente le proprie vittime ma anche di condizionarle e, forse (è l’ipotesi della procura), ricattarle. E di questo è costretta a occuparsi la politica, ma anche la magistratura, mentre ben altro ci sarebbe da fare per evitare che il Paese affondi.
Ma il secondo elemento di questo triangolo della vergogna è il sistema mediatico. Ormai interessato solo a scandali, alla faccia di tutto e di tutti. Senza alcun riguardo per l’Italia. Un sistema che decide l’importanza delle notizie dalla quantità di morbosità che contengono, con una pigrizia che insegue gli strilli e trascura ogni tentativo di approfondire questioni serie, nazionali e internazionali. E che ormai è arrivato al punto di usare ogni mezzo senza alcun freno inibitorio, senza autocritica, senza meditazione. Spesso servo di questo o quel potere, o altrettanto spesso servo di qualcosa di non meno infido e pericoloso, la morbosità dei lettori. Perché diciamoci anche una cosa: tutta la massa di intercettazioni che oggi stanno nuovamente sommergendo il Paese, beh, c’è più di qualche dubbio sul fatto che siano da pubblicare. È già bizzarro che si possa intercettare un presidente del consiglio (certo la sua prudenza dopo tutto quello che si è fatto capitare non denota grande lucidità), ma è ancora più preoccupante che quelle intercettazioni possano finire in pasto a chiunque anche quando non hanno alcun rilievo penale. Non è certo questione di proteggere Berlusconi con qualche decreto-bavaglio o ferma-inchieste, ma non possiamo farci travolgere passivamente dall’ondata di strumentale indignazione (che colpisce sempre a fasi alterne secondo gli schieramenti, e che poi all’improvviso accende più di tutti quelli che poco prima stavano dall’altra parte, italico vizio) senza un barlume di ragionamento e di coscienza.
Poi però ci siamo noi, cittadini, lettori, pubblico. Società. Io resto fermamente convinto che nel profondo gli italiani siano radicalmente migliori di come vengono rappresentati, di come li crede e li descrive quell’elite marcia e autoreferenziale. Ma certo non si può negare che noi italiani, noi società, noi gente comune facciamo di tutto per nascondere questo nostro sperato essere migliori. Se nonostante fondamenti morali migliori poco facciamo per fermare il nostro stesso slittamento verso quei modelli che a comando ci indignano, non meritiamo molto. Se ogni giorno ci occupiamo solo delle nostre piccole cose a ogni costo, senza scrupoli, pronti a tutto, e ci accorgiamo di non essere così terribili come chi ci governa solo perché non siamo così potenti, ma se potessimo… beh allora questa società ha la politica, l’elite, i media che si merita. D’altro canto chi è che ha in mano il telecomando, che sceglie il giornale, che clicca il sito internet, e che vota? Chi è che crede che se prende le distanze è innocente, e non si accorge che l’indifferenza è diserzione, e se l’Italia va a fondo è anche responsabilità di chi non spala via il letame?
È il momento di dire una sola cosa: prima l’Italia.
Osvaldo Baldacci

mercoledì 14 settembre 2011

I vestiti nuovi dell'imperatore. Il re è nudo!

Fiaba di Hans Christian Andersen 

Molti anni fa viveva un imperatore che amava tanto avere sempre bellissimi vestiti nuovi da usare tutti i suoi soldi per vestirsi elegantemente. Non si curava dei suoi soldati né di andare a teatro o di passeggiare nel bosco, se non per sfoggiare i vestiti nuovi. Possedeva un vestito per ogni ora del giorno e come di solito si dice che un re è al consiglio, così di lui si diceva sempre: «E nello spogliatoio!».

Nella grande città in cui abitava ci si divertiva molto; ogni giorno giungevano molti stranieri e una volta arrivarono due impostori: si fecero passare per tessitori e sostennero di saper tessere la stoffa più bella che mai si potesse immaginare. Non solo i colori e il disegno erano straordinariamente belli, ma i vestiti che si facevano con quella stoffa avevano lo strano potere di diventare invisibili agli uomini che non erano all'altezza della loro carica e a quelli molto stupidi.

"Sono proprio dei bei vestiti!" pensò l'imperatore. "Con questi potrei scoprire chi nel mio regno non è all'altezza dell'incarico che ha, e riconoscere gli stupidi dagli intelligenti. Sì, questa stoffa dev'essere immediatamente tessuta per me!" e diede ai due truffatori molti soldi, affinché potessero cominciare a lavorare.

Questi montarono due telai e fecero fìnta di lavorare, ma non avevano proprio nulla sul telaio. Senza scrupoli chiesero la seta più bella e l'oro più prezioso, ne riempirono le borse e lavorarono con i telai vuoti fino a notte tarda.

"Mi piacerebbe sapere come proseguono i lavori per la stoffa" pensò l'imperatore, ma in verità si sentiva un po' agitato al pensiero che gli stupidi o chi non era adatto al suo incarico non potessero vedere la stoffa. Naturalmente non temeva per se stesso; tuttavia preferì mandare prima un altro a vedere come le cose proseguivano. Tutti in città sapevano che straordinario potere avesse quella stoffa e tutti erano ansiosi di scoprire quanto stupido o incompetente fosse il loro vicino.

"Manderò il mio vecchio bravo ministro dai tessitori" pensò l'imperatore "lui potrà certo vedere meglio degli altri come sta venendo la stoffa, dato che ha buon senso e non c'è nessuno migliore di lui nel fare il suo lavoro."
Il vecchio ministro entrò nel salone dove i due truffatori stavano lavorando con i due telai vuoti. "Dio mi protegga!" pensò, e spalancò gli occhi "non riesco a vedere niente!" Ma non lo disse.

Entrambi i truffatori lo pregarono di avvicinarsi di più e chiesero se i colori e il disegno non erano belli. Intanto indicavano i telai vuoti e il povero ministro continuò a sgranare gli occhi, ma non potè dir nulla, perché non c'era nulla. "Signore!" pensò "forse sono stupido? Non l'ho mai pensato ma non si sa mai. Forse non sono adatto al mio incarico? Non posso raccontare che non riesco a vedere la stoffa!"

«Ebbene, lei non dice nulla!» esclamò uno dei tessitori.

«È splendida! Bellissima!» disse il vecchio ministro guardando attraverso gli occhiali. «Che disegni e che colori! Sì, sì, dirò all'imperatore che mi piacciono moltissimo!»

«Ne siamo molto felici!» dissero i due tessitori, e cominciarono a nominare i vari colori e lo splendido disegno. Il vecchio ministro ascoltò attentamente per poter dire lo stesso una volta tornato dall'imperatore, e così infatti fece.
Gli imbroglioni richiesero altri soldi, seta e oro, necessari per tessere. Ma si misero tutto in tasca; sul telaio non giunse mai nulla, e loro continuarono a tessere sui telai vuoti.

L'imperatore inviò poco dopo un altro onesto funzionario per vedere come proseguivano i lavori, e quanto mancava prima che il tessuto fosse pronto. A lui successe quello che era capitato al ministro; guardò con attenzione, ma non c'era nulla da vedere se non i telai vuoti, e difatti non vide nulla.
«Non è una bella stoffa?» chiesero i due truffatori, spiegando e mostrando il bel disegno che non c'era affatto.

"Stupido non sono" pensò il funzionario "è dunque la carica che ho che non è adatta a me? Mi sembra strano! Comunque nessuno deve accorgersene!" e così lodò la stoffa che non vedeva e li rassicurò sulla gioia che i colori e il magnifico disegno gli procuravano. «Sì, è proprio magnifica» riferì poi all'imperatore.
Tutti in città parlavano di quella magnifica stoffa.

L'imperatore volle vederla personalmente mentre ancora era sul telaio. Con un gruppo di uomini scelti, tra cui anche i due funzionari che già erano stati a vederla, si recò dai furbi truffatori che stavano tessendo con grande impegno, ma senza filo.

«Non èmagnifique?» esclamarono i due bravi funzionari. «Sua Maestà guardi che disegno, che colori!» e indicarono il telaio vuoto, pensando che gli altri potessero vedere la stoffa.
"Come sarebbe!" pensò l'imperatore. "Io non vedo nulla! È terribile! sono forse stupido? o non sono degno di essere imperatore? È la cosa più terribile che mi possa capitare". «Oh, è bellissima!» esclamò «ha la mia piena approvazione!» e ammirava, osservandolo soddisfatto, il telaio vuoto; non voleva dire che non ci vedeva niente. Tutto il suo seguito guardò con attenzione, e non scoprì nulla di più; tutti dissero ugualmente all'imperatore: «È bellissima» e gli consigliarono di farsi un vestito con quella nuova meravigliosa stoffa e di indossarlo per la prima volta al corteo che doveva avvenire tra breve. «Emagnifìque , bellissima,excellente » esclamarono l'uno con l'altro, e si rallegrarono molto delle loro parole. L'imperatore consegnò ai truffatori la Croce di Cavaliere da appendere all'occhiello, e il titolo di Nobili Tessitori.
Tutta la notte che precedette il corteo i truffatori restarono alzati con sedici candele accese. Così la gente poteva vedere che avevano da fare per preparare il nuovo vestito dell'imperatore. Finsero di togliere la stoffa dal telaio, tagliarono l'aria con grosse forbici e cucirono con ago senza filo, infine annunciarono: «Ora il vestito è pronto.»

Giunse l'imperatore in persona con i suoi illustri cavalieri, e i due imbroglioni sollevarono un braccio come se tenessero qualcosa e dissero: «Questi sono i calzoni; e poi la giacca - e infine il mantello!» e così via. «La stoffa è leggera come una tela di ragno! si potrebbe quasi credere di non aver niente addosso, ma e proprio questo il suo pregio!».
«Sì» confermarono tutti i cavalieri, anche se non potevano vedere nulla, dato che non c'era nulla.

«Vuole Sua Maestà Imperiale degnarsi ora di spogliarsi?» dissero i truffatori «così le metteremo i nuovi abiti proprio qui davanti allo specchio.» L'imperatore si svestì e i truffatori fìnsero di porgergli le varie parti del nuovo vestito, che stavano terminando di cucire; lo presero per la vita come se gli dovessero legare qualcosa ben stretto, era lo strascico, e l'imperatore si rigirava davanti allo specchio.

«Come le sta bene! come le dona!» dissero tutti. «Che disegno! che colori! È un abito preziosissimo!»

«Qui fuori sono arrivati i portatori del baldacchino che dovrà essere tenuto sopra Sua Maestà durante il corteo!» annunciò il Gran Maestro del Cerimoniale.
«Sì, anch'io sono pronto» rispose l'imperatore. «Mi sta proprio bene, vero?» E si rigirò ancora una volta davanti allo specchio, come se contemplasse la sua tenuta.

I ciambellani che dovevano reggere lo strascico finsero di afferrarlo da terra e si avviarono tenendo l'aria, dato che non potevano far capire che non vedevano niente.

E così l'imperatore aprì il corteo sotto il bel baldacchino e la gente che era per strada o alla finestra diceva: «Che meraviglia i nuovi vestiti dell'imperatore! Che splendido strascico porta! Come gli stanno bene!». Nessuno voleva far capire che non vedeva niente, perché altrimenti avrebbe dimostrato di essere stupido o di non essere all'altezza del suo incarico. Nessuno dei vestiti dell'imperatore aveva mai avuto una tale successo.
«Ma non ha niente addosso!» disse un bambino. «Signore sentite la voce dell'innocenza!» replicò il padre, e ognuno sussurrava all'altro quel che il bambino aveva detto.

«Non ha niente addosso! C'è un bambino che dice che non ha niente addosso!»
«Non ha proprio niente addosso!» gridava alla fine tutta la gente. E l'imperatore, rabbrividì perché sapeva che avevano ragione, ma pensò: "Ormai devo restare fino alla fine". E così si raddrizzò ancora più fiero e i ciambellani lo seguirono reggendo lo strascico che non c'era.