martedì 26 giugno 2012

Impegno dei cattolici, ora o mai più

Fermento cattolico. L’Europa unita è l’ultimo degli obiettivi alti che il mondo cattolico risvegliato si è posto anche in un grande convegno. Un tema importante inserito nella ben più ampia riflessione in corso. Essere lievito nella società è l’obiettivo teologico, ma nel concreto politico qualcosa è andato storto se dal discorso a Cagliari Papa Benedetto XVI in poi si continua a invocare una maggiore presenza, un maggior impegno e una maggiore incisività dei cattolici nella vita politica italiana.

Perciò dal riconoscimento di non essere riusciti ad essere lievito bisogna ripartire perché quell’innegabile fermento torni ad essere sale e non solo ricerca personale di una posizione o al massimo una buona testimonianza. In questo contesto il mondo cattolico si è reso conto che ci sono delle riflessioni da fare, ed è con un certo travaglio che l’analisi è partita almeno da Todi (che non fu certo un’iniziativa allora unanimemente ben accolta) su diversi aspetti importanti. Il punto è che forse quella riflessione è partita ma ancora non è maturata al punto di trasformarsi in azione concreta. E Primo punto: di cattolici impegnati in politica ce ne sono molti, moltissimi. In parlamento e ai massimi livelli, ma forse ancora di più diffusi sul territorio. Ma se così è, perché si continua a chiedere un maggiore impegno? Evidentemente quella presenza così come è non funziona quanto dovrebbe, non incide. Su questo il mondo cattolico non può non interrogarsi. E in realtà una risposta ha cominciato a darsela, ma senza il coraggio di arrivare fino in fondo. Il tema, non si può negarlo, è quello del protagonismo diretto dei cattolici in politica, e quindi dell’unità dei cattolici. Tema che ancora spaventa e ad alcuni appare ancora un tabù. Molti nel mondo cattolico sentono di dover fare qualcosa per un nuovo protagonismo, ma poi si spaventano. Il dado non è tratto. Prevale ancora troppo spesso non solo un eccesso di prudenza, ma anche una certa soggezione psicologica a chi vede l’unità dei cattolici come il fumo negli occhi. E così anche tra le associazioni e i movimenti non sembra ben chiaro l’approdo verso cui dirigersi. Anche perché contemporaneamente c’è l’altro aspetto “tecnico” che frena: chi lo deve fare il partito? La Chiesa può fare un partito? Associazioni, movimenti, sindacati, possono fare un partito? Scendendo nell’arena politica non si va contro la vera vocazione spirituale delle istituzioni religiose e di ispirazione religiosa? La risposta ovviamente è positiva, ma la domanda è fuorviante. La soluzione l’aveva già data don Sturzo: non sono i vescovi a dover fare un partito e neanche a benedirlo. Ma sono i laici cristiani che sono chiamati ad assumersi in proprio la responsabilità di mettersi insieme per formare e indirizzare le scelte politiche, un impegno cui non possono sottrarsi e che – e qui è il punto che un po’ ancora manca – le realtà ecclesiali e associazionistiche devono incoraggiare. Quello che si è rotto in questi anni è il fatto che nel mondo cattolico la politica è stata vista come una cosa sporca e compromettente, con la quale i cattolici si dovevano mischiare il meno possibile, e senza mai mettere in gioco la qualifica di cattolico. Questo – oltre tutto – ha spinto molti cattolici impegnati in politica a cercare altre etichette le quali però hanno finito per prevalere sulla qualità di cattolici, spingendo anche molti a cedere a pressioni indebite. Che nessuno possa appropriarsi della qualifica di cattolico in politica è sacrosanto, ma che si abbia il diritto e il dovere di fare politica “da cattolici”, in qualità di cattolici, è altrettanto importante ed è quello che è mancato e che ora a fatica sembra voler maturare di nuovo. Nel senso più vero dell’ispirazione cristiana e dell’impegno da cattolico, si supera anche il problema dell’unità dei cattolici in politica: non è un dogma che i cattolici stiano tutti insieme sotto un solo partito, ma è altrettanto vero che non si può temere di mettere insieme quanti la pensano nello stesso modo e hanno più cose ad accomunarli che a dividerli. Che ci si renda conto che l’unione fa la forza e la capacità di dare concretezza a una visione del bene comune dipende anche dalla capacità di incidere politicamente e quindi anche numericamente. Che la cultura cattolica è perfettamente in grado di esprimere una sua visione di società, che non deve stare di qua o di là ma può stare per proprio conto chiedendo agli altri di convergere. E infatti i cattolici non devono chiudersi su se stessi, stare da soli, ma devono aprirsi agli altri, dare il proprio contributo a un’elaborazione comune di un progetto per l’Italia. In questo un punto fermo – razionale e laico – devono essere i valori non negoziabili, ma ormai ci si rende conto che questo tema è necessario ma non sufficiente. È il punto minimo, ma non è l’unico tema cui dare risposte. Anzi. Lì per un cristiano dovrebbe essere più facile capire la via giusta (anche se non sono mancati cedimenti), mentre l’impegno di costruire un cammino è più arduo su temi altrettanto importanti come l’economia, il lavoro, le politiche sociali. Da Todi in poi sono stati prodotti eccellenti documenti di programma politico: ci si è occupati di rilanciare il tema attualissimo e necessario dell’Europa unita, e in precedenza è stato redatto il manifesto per una buona politica. La verità è che nessuno come i cattolici sa produrre grandi valori, grandi ideali, grandi obiettivi. Ma quel che serve oggi sono anche le tappe intermedie, la concretezza di tracciare il percorso verso quegli obiettivi attraverso le difficoltà del quotidiano. Quel che manca è la politica. Su questo stanno riflettendo i movimenti di Todi, ma onestamente bisogna dire che forse non hanno ancora trovato una risposta univoca. Ma il tempo stringe.

Nessun commento:

Posta un commento