mercoledì 30 novembre 2011

Perché non temo i partiti islamici. Ma posso temere la nostra debolezza.

Anche in Egitto come in Marocco e Tunisia i partiti islamici vincono le elezioni. Era successo anche in Iraq e prima ancora in Turchia. Quando il voto è libero, a volte per la prima volta in assoluto nella storia, i partiti di ispirazione cosiddetta religiosa, fino ad allora emarginati se non perseguitati, vincono. Ben venga, dico io. E' normale. Semplicemente questo vuol dire che quando possono scegliere, tanto più dopo decenni di oppressione o almeno di illiberalità, i cittadini scelgono di rimettere in pista i loro valori più profondi. Certo, non tutte le religioni sono uguali, non tutte le interpretazioni politiche sono garanti di libertà e rispetto dei diritti. Ma non è questo il punto. La democrazia non nasce con un click. C'è da fare un cammino. Noi occidentali dobbiamo vigilare sugli sviluppi delle democrazie più giovani, ma più ancora sono interessati a vigilare gli stessi cittadini che ora vanno al voto. Non c'è nulla di strano che questi stessi cittadini ritornino ad elementi basilari della propria cultura. Ai principi base, sia immanenti che trascendenti. Anche perché dopo tanti anni di assenza della democrazia è anche difficile che si sia formato uno o più  pensieri politici  di massa capaci di organizzarsi in strutture adatte a vincere le elezioni. Con principi che invece stanno nel sangue della gente anche a prescindere dalla politica, anche nel prepolitico, è più facile e naturale ritrovare pronta una piattaforma politica-elettorale valida, coerente e rassicurante. In realtà più ancora che religiosa la questione è culturale: l'applicazione politica della religione è elemento controverso, sappiamo bene che nell'islam il confine è labile, ma sappiamo altrettanto bene che molte cose che vengono spacciate come islamiche sono a volte solo interpretazioni, altre volte addirittura elementi derivanti dalle culture locali e non dalla religione.
Quindi quello che vorrei dire è di non cadere nelle trappole di un certo laicismo militante che pervade l'Europa e si espande senza capacità interpretative anche su aree ben diverse dalle nostre. Se il laicismo è un'ideologia dogmatica che mal comprende le realtà europee e ha pretese di imporsi, tanto meno vale per il Medio Oriente. A partire dal fatto che molti partiti islamici non sono "cattivi" come sembrano, ma semplicemente leggono la loro realtà alla luce del loro impianto culturale che come detto non è opprimente verso i propri cittadini ma al contrario spesso li rappresenta. Molti di quei partiti hanno "pulsioni" fortemente democratiche e rispettose, e se esistono (e preoccupano) le opposte pulsioni fondamentaliste, è altrettanto pericoloso impedire a un popolo di svilupparsi secondo i suoi propri elementi culturali. Naturalmente bisogna vigilare sul rispetto di diritti fondamentali, bisogna prevenire involuzioni, bisogna collaborare con le realtà locali per sviluppare tutti gli elementi necessari a una vera mentalità democratica (dall'informazione all'istruzione, non bastano le elezioni). Bisogna portare quelle società e quei partiti (che le elezioni dimostrano essere i più rappresentativi nella società) nell'alveo delle regole e del rispetto dei diritti. Ci vuole tempo. Bisogna prenderselo e perseguire gli obiettivi con tenacia, ma dividere il mondo in buoni e cattivi e strapparsi i capelli perché democraticamente hanno vinto quelli che non ci piacciono o ci piacciono meno non aiuta la democrazia ma la spinge in un angolo rafforzando i suoi nemici. Più che mettere al bando interi movimenti politici molto rappresentativi, dovremmo saper discriminare con serietà in base al rispetto di diritti specifici.
E poi un'ultima riflessione: perché non ci piacciono questi partiti? In parte, lo abbiamo già detto, perché non li conosciamo e ne abbiamo una versione caricaturale, per cui per evitare la fatica di comprendere la realtà e di approfondire un contesto culturale diverso dal nostro è più facile generalizzare. Ma allo stesso tempo non si può negare che esistano princìpi che noi non condividiamo e non possiamo condividere, anche al di là del rispetto di culture e sensibilità diverse. E questo spesso più che indignarci per quanto accade laggiù ci spaventa per quanto potrebbe accadere da noi. Ma questi timori sono un segno di debolezza e mostrano forse la fragilità della nostra sponda. Se infatti siamo davvero convinti che i nostri princìpi sono migliori degli altri (e in certi casi io ne sono convinto, non mascheriamoci), allora dobbiamo anche aver fiducia che questi valori possano vincere sui impostazioni più oppressive, false e dannose. Anzi, che i valori buoni, se ben testimoniati, tendano naturalmente ad espandersi conquistando le aree dove non è più la forza a imporre disvalori di stato. Non è facile, ma è tendenzialmente naturale. Se siamo saldi noi. Sono loro quindi che devono "temere" la forza dei nostri valori, inevitabilmente destinati a prevalere in uno sviluppo di confronto sereno. Non siamo noi a doverci sentire minacciati. A meno che non siamo noi stessi a sentirci in realtà deboli e poco convinti. Sia culturalmente che religiosamente. Ecco, questo è un altro tema, e pur partendo da loro e dai loro partiti, in realtà riguarda noi e le nostre coscienze.

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