martedì 20 novembre 2012

Cattolici e liberali


Cattolici e liberali sono compatibili? No, secondo la secca risposta con cui Luca Ricolfi conclude un interessante editoriale su La Stampa a commento della rinascita del centro. Un editoriale molto acuto e ricco di spunti stimolanti, con analisi corrette e l’enunciazione di realtà crude ma con cui fare i conti. Ma al contempo uno scritto che passando dalla parte analitica a quella delle conclusioni si spinge un po’ oltre il necessario, aggiungendo legittimamente una sfiducia che però è personale. E il rapporto tra cattolici e liberali ne è lo specchio: proveremo a vedere come le due realtà non solo siano compatibili, ma abbiano storicamente collaborato molto molto spesso, e in certi casi addirittura coincidano. 

Il punto è che non esiste in politica e in cultura un solo tipo di cattolico e un solo tipo di liberale. Ovviamente se si parte dalle posizioni più estreme di liberisti che ritengono il mercato l’unica legge e il darwinismo sociale senza scrupoli una risorsa, e dall’altra parte si seleziona una frangia pauperista e iperassistenzialista del mondo cattolico, allora in questo caso l’incompatibilità è palese. Ma questi casi non rappresentano la maggioranza e forse neanche una parte davvero significativa dei due mondi, che anzi nell’ampia area dove si intersecano finiscono per coincidere. Sono in molti a definirsi cattolici liberali, e molti liberali condividono le visioni fondamentali dei valori cristiani. Non bisogna confondere l’assistenzialismo con la solidarietà, e altrettanto non bisogna confondere la competitività con la guerra senza quartiere. Una società e un mercato privo di regole finisce per danneggiare tutti, compresi gli attori più forti. Chi cerca il profitto a breve può avvantaggiarsi da una situazione di giungla, ma chi cerca di rafforzarsi nel medio e lungo termine ha bisogno di una società stabile. Allo stesso tempo la solidarietà e la giustizia sociale oltre ad essere profondamente umane sono utili e necessarie allo sviluppo di una società ordinata e funzionale che tenda a crescere; è conveniente dare a tutti i talenti la possibilità di esprimersi, ed è utile dare altre possibilità a chi in certe occasioni è rimasto indietro. Oggi anzi alcune visioni liberali e cattoliche tendono a coincidere più che mai. Basti pensare al tema della sussidiarietà, all’idea di uno Stato leggero che fornisca poche utili regole e quei servizi fondamentali lasciando alle comunità intermedie la possibilità di organizzarsi e di fornire servizi secondo le necessità, con grande risparmio e maggiore efficienza. D’altro canto nella storia cattolici e liberali anche intesi distintamente hanno spesso collaborato soprattutto nelle stagioni migliori del paese, e anche in qualche occasione dove forse una maggiore collaborazione più consapevole avrebbe dato frutti migliori di quelli che poi la storia ha mostrato. Oggi poi la convergenza tra cattolici liberali è rafforzata dalla grave situazione di crisi in cui viviamo, crisi economica e crisi politica. Su entrambi i fronti solo la collaborazione tra queste realtà simili, possibilmente allargata ai riformisti, può rimettere l’Italia sul binario della ripresa. E d’altro canto il punto di convergenza è sotto gli occhi di tutti, è l’economia sociale di mercato, quell’economia liberale - di mercato appunto – pensata da economisti tedeschi a partire dalle encicliche economico-sociali dei Pontefici del XX secolo. Un sistema economico che guarda alla crescita, allo sviluppo, che agisce sul terreno della concorrenza e della competitività, che non vive di statalismo, e che al contempo promuove la partecipazione dei lavoratori all’azienda, accrescendo le energie e la creatività a servizio dell’impresa.
La riflessione di Ricolfi mette in evidenza alcune problematiche, cioè le difficoltà di ridefinire un centro necessario e richiesto ma ancora molto articolato e con aspetti di indeterminazione. Ma al contempo non ci si può fermare alle semplificazioni giornalistiche, agli slogan da talk show. Ci siamo soffermati sulla coppia cattolici e liberali per dimostrare come l’eccessiva semplificazione porti a conclusioni opposte alla realtà attuale. Per riprendere quanto detto sopra, l’economia sociale di mercato è già di per sé un programma politico preciso. Come lo è l’impegno europeista. E quando semplificando si dice Monti dopo Monti, questo non è uno slogan ma un preciso programma politico di proseguimento delle riforme avviate da questo governo, sulla linea delle liberalizzazioni, delle semplificazioni, della competitività, della riforma fiscale, della riforma del ruolo dello Stato, della spendig review e così via. Punti non certo indeterminati. Non è vero che c’è incompatibilità tra la diminuzione dell’Irpef o dell’Irap: le due cose sono legate e comunque si possono trovare punti di equilibrio, perché se è chiaro l’obiettivo e ci si mantiene in un quadro sociale chiaro, l’aiuto alle famiglie rilancia le imprese e quello alle imprese sostiene le famiglie. E poi appunto si può entrare ancora di più nel merito: nel caso dell’UDC è sufficiente guardare i suoi atti concreti in Parlamento, controllare i suoi documenti ufficiali, il suo programma, i suoi riferimenti, e si avrà un quadro chiaro di cosa voglia fare. E se vogliamo andare a verificare le cose nero su bianco, importanti esponenti dell’UDC come Rocco Buttiglione e Ferdinando Adornato hanno da poco messo nero su bianco le loro idee anche concrete nei loro recentissimi libri. Tra l’altro c’è un ulteriore riferimento che non solo impegna l’UDC (anzi l’UDC ha contribuito in modo determinante a realizzarlo) ma sembra in qualche modo un orizzonte di riferimento anche per tutte le forze che oggi si definiscono di centro: il programma del Partito Popolare Europeo, sottoscritto da molte forze continentali, cattoliche ma anche non cattoliche e anche liberali. È vero che molti dettagli del nuovo centro devono essere messi a punto in via definitiva, e che il tempo stringe, ma è altrettanto vero che il fumo è poco e l’arrosto tanto.
Osvaldo 

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