Cattolici e liberali sono compatibili? No, secondo la secca
risposta con cui Luca Ricolfi conclude un interessante editoriale su La Stampa a commento della
rinascita del centro. Un editoriale molto acuto e ricco di spunti stimolanti,
con analisi corrette e l’enunciazione di realtà crude ma con cui fare i conti.
Ma al contempo uno scritto che passando dalla parte analitica a quella delle
conclusioni si spinge un po’ oltre il necessario, aggiungendo legittimamente
una sfiducia che però è personale. E il rapporto tra cattolici e liberali ne è
lo specchio: proveremo a vedere come le due realtà non solo siano compatibili,
ma abbiano storicamente collaborato molto molto spesso, e in certi casi
addirittura coincidano.
Il punto è che non esiste in politica e in cultura un
solo tipo di cattolico e un solo tipo di liberale. Ovviamente se si parte dalle
posizioni più estreme di liberisti che ritengono il mercato l’unica legge e il
darwinismo sociale senza scrupoli una risorsa, e dall’altra parte si seleziona una
frangia pauperista e iperassistenzialista del mondo cattolico, allora in questo
caso l’incompatibilità è palese. Ma questi casi non rappresentano la
maggioranza e forse neanche una parte davvero significativa dei due mondi, che
anzi nell’ampia area dove si intersecano finiscono per coincidere. Sono in
molti a definirsi cattolici liberali, e molti liberali condividono le visioni
fondamentali dei valori cristiani. Non bisogna confondere l’assistenzialismo
con la solidarietà, e altrettanto non bisogna confondere la competitività con
la guerra senza quartiere. Una società e un mercato privo di regole finisce per
danneggiare tutti, compresi gli attori più forti. Chi cerca il profitto a breve
può avvantaggiarsi da una situazione di giungla, ma chi cerca di rafforzarsi
nel medio e lungo termine ha bisogno di una società stabile. Allo stesso tempo
la solidarietà e la giustizia sociale oltre ad essere profondamente umane sono
utili e necessarie allo sviluppo di una società ordinata e funzionale che tenda
a crescere; è conveniente dare a tutti i talenti la possibilità di esprimersi,
ed è utile dare altre possibilità a chi in certe occasioni è rimasto indietro.
Oggi anzi alcune visioni liberali e cattoliche tendono a coincidere più che
mai. Basti pensare al tema della sussidiarietà, all’idea di uno Stato leggero
che fornisca poche utili regole e quei servizi fondamentali lasciando alle
comunità intermedie la possibilità di organizzarsi e di fornire servizi secondo
le necessità, con grande risparmio e maggiore efficienza. D’altro canto nella
storia cattolici e liberali anche intesi distintamente hanno spesso collaborato
soprattutto nelle stagioni migliori del paese, e anche in qualche occasione
dove forse una maggiore collaborazione più consapevole avrebbe dato frutti
migliori di quelli che poi la storia ha mostrato. Oggi poi la convergenza tra
cattolici liberali è rafforzata dalla grave situazione di crisi in cui viviamo,
crisi economica e crisi politica. Su entrambi i fronti solo la collaborazione
tra queste realtà simili, possibilmente allargata ai riformisti, può rimettere
l’Italia sul binario della ripresa. E d’altro canto il punto di convergenza è
sotto gli occhi di tutti, è l’economia sociale di mercato, quell’economia
liberale - di mercato appunto – pensata da economisti tedeschi a partire dalle
encicliche economico-sociali dei Pontefici del XX secolo. Un sistema economico
che guarda alla crescita, allo sviluppo, che agisce sul terreno della
concorrenza e della competitività, che non vive di statalismo, e che al
contempo promuove la partecipazione dei lavoratori all’azienda, accrescendo le
energie e la creatività a servizio dell’impresa.
La riflessione di Ricolfi mette in evidenza alcune
problematiche, cioè le difficoltà di ridefinire un centro necessario e
richiesto ma ancora molto articolato e con aspetti di indeterminazione. Ma al
contempo non ci si può fermare alle semplificazioni giornalistiche, agli slogan
da talk show. Ci siamo soffermati sulla coppia cattolici e liberali per
dimostrare come l’eccessiva semplificazione porti a conclusioni opposte alla
realtà attuale. Per riprendere quanto detto sopra, l’economia sociale di
mercato è già di per sé un programma politico preciso. Come lo è l’impegno
europeista. E quando semplificando si dice Monti dopo Monti, questo non è uno
slogan ma un preciso programma politico di proseguimento delle riforme avviate
da questo governo, sulla linea delle liberalizzazioni, delle semplificazioni,
della competitività, della riforma fiscale, della riforma del ruolo dello
Stato, della spendig review e così via. Punti non certo indeterminati. Non è
vero che c’è incompatibilità tra la diminuzione dell’Irpef o dell’Irap: le due
cose sono legate e comunque si possono trovare punti di equilibrio, perché se è
chiaro l’obiettivo e ci si mantiene in un quadro sociale chiaro, l’aiuto alle
famiglie rilancia le imprese e quello alle imprese sostiene le famiglie. E poi
appunto si può entrare ancora di più nel merito: nel caso dell’UDC è
sufficiente guardare i suoi atti concreti in Parlamento, controllare i suoi
documenti ufficiali, il suo programma, i suoi riferimenti, e si avrà un quadro
chiaro di cosa voglia fare. E se vogliamo andare a verificare le cose nero su
bianco, importanti esponenti dell’UDC come Rocco Buttiglione e Ferdinando
Adornato hanno da poco messo nero su bianco le loro idee anche concrete nei
loro recentissimi libri. Tra l’altro c’è un ulteriore riferimento che non solo
impegna l’UDC (anzi l’UDC ha contribuito in modo determinante a realizzarlo) ma
sembra in qualche modo un orizzonte di riferimento anche per tutte le forze che
oggi si definiscono di centro: il programma del Partito Popolare Europeo,
sottoscritto da molte forze continentali, cattoliche ma anche non cattoliche e
anche liberali. È vero che molti dettagli del nuovo centro devono essere messi
a punto in via definitiva, e che il tempo stringe, ma è altrettanto vero che il
fumo è poco e l’arrosto tanto.
Osvaldo
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