sabato 21 aprile 2012

Serve un partito per la nazione?


Serve un Partito della nazione? Anzi, la domanda più corretta è “serve un partito alla nazione”? “un partito per la nazione”? E, se sì, che tipo di partito serve? Su quali basi? Queste sono domande ineludibili che emergono con grande forza dalla realtà di fatto. Siamo in mezzo a scosse telluriche violentissime che investono il mondo, l’Italia, l’economia, il sistema politico. Quello che è stato finora non sarà più. Serve qualcosa di nuovo all’altezza del mondo nuovo. Ciò che non è adeguato ai cambiamenti, che non li comprende, che non li guida, è destinato a rimanere un rottame residuale del post-terremoto. Quindi la prima cosa da dire con forza è questa: il partito nuovo non è un’alchimia politica, un inguacchio di palazzo, un giochino trasformista. È piuttosto la risposta necessaria a un’esigenza, un bisogno che è fortemente presente nella società. I conservatori oggi sono coloro i quali negano che il mondo stia cambiando e vorrebbero mantenere tutto come prima. Sono i  sacerdoti della seconda repubblica, gli osannanti del bipartitismo. Di questo ha bisogno la nazione? Bisogna stare ai fatti, e i fatti narrano del naufragio della seconda repubblica, narrano di un mondo globalizzato radicalmente cambiato nei suoi equilibri economici, sociali, geopolitici, registrano di una terribile inadeguatezza della classe politica autoreferenziale affogata nel discredito e negli scandali, di un terribile ritardo di competitività dell’Italia che va urgentemente colmato. I fatti dicono di una grande emergenza per il Paese che ha urgenza di  seppellire i fallimenti della seconda repubblica. E dicono che questa esigenza è così sentita e talmente impellente da rischiare di travolgere tutto mandando tutto all’aria: è questa l’antipolitica, vale a dire la forza distruttiva che scaturisce da problemi veri quando manca una classe dirigente capace di incanalare le energie verso lo sforzo costruttivo. Per questo serve un partito alla nazione. Questo vuol dire tornare alla prima repubblica? Certamente no, vuol dire costruire la terza. Vuol dire che non di sacerdoti arroccati in fortini funerari ha bisogno il Paese, ma di profeti che sappiano guardare avanti. E guardare avanti vuol dire rinnovamento. Non nuovismo, che rischia di essere solo una delle tante ondate dello tsunami devastante. Ma di rinnovamento vero. Degli uomini, certamente, ma più ancora della mentalità, dei meccanismi, delle coscienze. Occorre guardare il mondo con occhi nuovi. E un elemento determinante di questa nuova visuale è nell’organizzazione politica, che deve smettere di essere orientata al leader e agli interessi suoi, delle sue corti e dei suoi cerchi magici, per tornare ad essere rivolta ai cittadini. Alla nazione serve quindi un partito che sappia convogliare nella politica, nelle istituzioni, nella classe dirigente le forze sane del Paese, le energie vitali e morali, le migliori capacità. Servono forze politiche capaci di esprimere il meglio dell’Italia e di coordinare tutte le qualità che servono per rilanciare un Paese da riformare e rilanciare, che ha ancora le potenzialità di essere leader nel mondo ma che ha oggettivamente bruciato molte delle sue riserve dando il peggio di sé. Un problema grave, strutturale e profondo che non si può imputare tutto alla politica: la politica ha comunque rispecchiato una società, un paese, una classe dirigente che ha imperversato in tutti i campi. La casta esiste, ma è il punto più visibile di migliaia di caste presenti in Italia, ciascuna arroccata a difender ei propri privilegi, persino certe caste di “poveri” che non vogliono mettere in discussione quelle nicchie che si sono accaparrati, figuriamoci le caste di chi continua a succhiare ricchi benefici ai danni della comunità. Questo sistema di caste, di evasioni, di arrangiamenti si è profondamente incrostato e avviluppato, e se vogliamo guardarlo con un certo disincanto ha persino funzionato per un po’, ha creato un suo equilibrio, dove i privilegi degli uni si equilibravano con i privilegi degli altri. Ma ora queste incrostazioni stanno portando a fondo l’Italia, incapace di essere protagonista in uno scenario più ampio e di crisi globale, dove quell’equilibrio tutto interno non può più reggere. Occorre avere il coraggio di liberarsi di questi vincoli che un tempo forse tenevano insieme le cose, oggi le soffocano. L’antipolitica nasce anche dal senso di soffocamento che questi vincoli scatenano in ciascuno di noi, unito al senso di panico che naturalmente viene quando si vede sfilacciare la propria corda col giustificato timore che si spezzi lasciandoci in campo aperto mentre magari le altre non si spezzano e il Paese continua a essere protetto da questo gomitolo di privilegi, ma io no. Per questo l’antipolitica spinta da queste comprensibili ma irrazionali paure scatena solo un arabbia che vuole incendiare tutto, ma non è in grado di trovare quel bandolo della matassa che permette di sciogliere i nodi e rilanciare il paese senza bruciarlo insieme alle corde stesse. Per riuscire in questo invece occorre una nuova consapevolezza nel Paese, dell’impegno di tutti, ma anche e soprattutto di una classe dirigente capace di portare avanti con tenacia ed equità questi mutamenti rivoluzionari. Serve la competenza, il merito, la partecipazione delle forze sociali, della società civile, di tutti coloro che osano guardare avanti e possibilmente lontano. E servono anche i politici, quelli seri, quelli bravi, quelli onesti. Perché fare di tutta l’erba un fascio è un grave errore. Perché la politica è una tecnica che se non richiede la nascita di una casta di professionisti esclusivi richiede senz’altro l’impegno di persone competenti non solo nelle loro materie, ma anche nella materia della politica in quanto tale. Perché la democrazia ha bisogno di partiti. Partiti seri, onesti, capaci di essere la cinghia di trasmissione della partecipazione dei cittadini alla politica. Quindi serve un partito di questo tipo alla nazione. Serve più che mai. Serve un partito della nazione. Un partito dei competenti, degli onesti, delle forze sane della società civile, dei responsabili, di quelli che hanno a cuore il bene comune e la sorte della nazione. Questo partito necessariamente deve avere anche un’identità, non può essere un ectoplasma di buone intenzioni. È finita quell’epoca. La politica è scelta, e questo partito deve essere capace di scegliere. Quindi al limite ben venga se queste caratteristiche dovessero averle più di un nuovo partito. Ma noi occupiamoci del nostro campo, che è il più vasto e il più radicato. Per mobilitare le forze che abbiamo citato, per aggregare, per stimolare, per chiedere sacrifici, questo partito deve avere una grande ispirazione ideale. Questo vuol dire che si devono delineare dei valori di riferimento. E questi valori di riferimento non possono che essere i valori prevalenti degli italiani, quelli del moderatismo e del dialogo, della responsabilità e dell’impegno, ma anche più nel dettaglio quelli della economia sociale di mercato e della visione antropologica dell’uomo di ispirazione cristiana. Che non vuol dire un partito confessionale o un partito dei cattolici, in senso esclusivo. È anzi necessario che si tratti di un partito laico ma nel senso più nobile del termine, non certo di un partito laicista o di un partito radicale di massa che imponga a un popolo il modo di vedere di una elite. Questo partito deve trovare le sue radici nella storia dei grandi movimenti popolari italiani, dei grandi leader, della stessa essenza della nazione ma anche dell’Europa, quei valori che danno senso e identità al nostro Paese e al nostro impegno. Quei valori di ispirazione laicamente cristiana su cui possono convergere le migliori personalità del Paese. Che poi è quello che sta naturalmente succedendo. Casini e Buttiglione inseguono da lungo tempo questo progetto. Le forze sociali, produttive, lavorative lo guardano con attenzione. I movimenti politici più intelligenti di questi giorni, di queste ore non possono non orientarsi in questa direzione, basti leggere i contenuti del documento presentato ieri da Pisanu e dagli altri senatori. Certo, anche tra i membri di questo governo ci può essere chi sente assonanza con questa linea. Perché no? Sono tecnici, nel senso di persone competenti e non assorbite dalla partitocrazia morente. Ma questo non vuol dire che non possano avere proprie idee, e che non vogliano nel futuro continuare a mettere la loro competenza ed esperienza al servizio del Paese. Non c’è nulla da scandalizzarsi, c’è da rispettare ciascuno ruoli, momenti, percorsi. Ma che all’Italia serva un partito così, un partito per la nazione, pochi lo possono mettere in dubbio, forse solo quelli che ne sono l’antitesi, cioè da un lato i nuovi antipolitici del “tutto all’aria” e dall’altro i vecchi antipolitici della seconda repubblica. Di questi la nazione non ha bisogno. 

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