mercoledì 7 marzo 2012

Partito dei tecnici o competenza nella politica?

Il partito dei tecnici prenderebbe il 22 per cento dei voti, porterebbe più gente a votare, e starebbe praticamente alla pari con PD e PDL ai quali toglierebbe consensi. È il risultato di un sondaggio realizzato da Ipr Marketing per Repubblica. Peccato però che il partito dei tecnici non esista, non esisterà e non potrà esistere. E posta in questo modo la vicenda, come spiegheremo, è un controsenso totale. Ma in un altro senso è invece un segnale importante e interessante, e in un certo modo è anche un segnale di speranza.
Andiamo per ordine. Il partito dei tecnici non esiste e non può esistere perché la caratteristica tipica dei partiti  (stando alla scienza politica) è quella di presentarsi alle elezioni, la caratteristica dei tecnici è quella di non presentarsi alle elezioni. Un partito sottopone agli elettori un programma, delle idee, dei riferimenti culturali, dei progetti e in base a questi chiede di essere giudicato e scelto e quindi di avere il consenso necessario a rappresentare una fetta di società. Per i tecnici è esattamente il contrario: non svolgono un ruolo di rappresentanza, ma viene richiesta per un periodo limitato la loro competenza specifica che devono prestare nel modo più asettico possibile e più distaccato dalle parti politiche e dalle fazioni. Certo, sappiamo tutti che anche i tecnici hanno giustamente e legittimamente le loro idee politiche e le loro aree culturali di provenienza (e comunque nel caso del governo Monti le idee politiche sono notoriamente variegate tanto da rendere comunque improbabile una convergenza in un unico partito politico), ma nel loro lavoro è caratteristicamente chiesto loro di tenere da parte questa loro visione personale e di limitarsi ad applicare le loro competenze. Al contrario ai politici è richiesto proprio di agire in conseguenza delle loro idee e delle loro visioni che sono state approvate dagli elettori.
Questo esclude che ci possa essere di nuovo un governo tecnico nella prossima legislatura? No, anche se appare improbabile (più probabile semmai una grande coalizione con apporti tecnici). Sarebbe però, come ora, un governo di tecnici nominato dai partiti politici. Domanda solo apparentemente più complessa: questo esclude che gli attuali tecnici si candidino alle elezioni? Certamente no. Come tutti i cittadini hanno pieni diritti politici. Il fatto è che quando dovessero scegliere di entrare in politica non sarebbero più tecnici ma politici, in quanto avranno scelto una parte, una linea, delle idee, e le avranno sottoposte al giudizio degli elettori.
E qui veniamo agli spunti di riflessione positivi. È un gran bene che in Italia ci sia sete di competenza. L’unica cosa vera che indica il sondaggio è che gli italiani sono stanchi di questo sistema di partiti, di questa politica, e vogliono un rinnovamento e un rinnovamento che sia basato sulla competenza. Lo stesso sondaggio dice che se i tecnici si presentassero alle elezioni l’astensionismo calerebbe di quindici punti percentuali. Non è poco.
E non è neanche qualcosa di molto diverso di quello cha da anni va dicendo l’UDC. La politica del bipolarismo muscolare, dei parlamentari nominati in base alla fedeltà al capo, la politica del pro o contro pregiudiziali è fallita e ha portato l’Italia sull’orlo del baratro. Occorre recuperare una politica dei contenuti, delle competenze. Una politica che tenga ben vivo il cordone ombelicale con la società civile. Una politica che sappia assumersi le responsabilità di essere sovrana sulle scelte ma al contempo riconosca i propri limiti, soprattutto di fronte alla logica, alla matematica, all’etica. I partiti devono rinnovarsi in questa direzione. Altrimenti moriranno. Verranno sostituiti da altri partiti, o da altre realtà non ben definibili e per questo non necessariamente migliori per il funzionamento della democrazia. I partiti oggi come oggi sono molto screditati davanti all’opinione pubblica, ma questo anche perché hanno perso la loro capacità di essere la cinghia di trasmissione tra i cittadini e le istituzioni. E di essere guida responsabile, invece che limitarsi a inseguire il consenso e magari i sondaggi di opinione. Se dici agli italiani quello che vogliono sentirsi dire, magari li fai contenti sul momento, ma alla lunga non risolvi ma aggravi i problemi, non svolgi il tuo ruolo di classe dirigente, e prima o poi ci si accorge che sei inutile. Se invece hai idee e competenze da portare avanti e fai la fatica di spiegarle e mostri i risultati, puoi anche non accontentare tutti però svolgi la tua missione e ottieni il credito per la rappresentanza. Quindi questo devono fare i partiti, inserendo competenze e idee al loro interno, e rappresentanti tecnici che non sono profeti infallibili ma politici con una visione supportata da capacità ed esperienza. E ancor più i partiti devono quindi aprirsi a un rapporto osmotico con la società civile, con le realtà vitali del Paese, le realtà produttive, del mondo del lavoro, dell’associazionismo, del volontariato, del mondo cattolico. Esattamente il progetto che persegue da tempo l’UDC ma che ora deve mettere in pratica. Questo è l’unico partito dei tecnici che può funzionare e che gli italiani aspettano. Se non lo farà quel Terzo Polo che ha prima di tutti compreso, avviato e sostenuto questo progetto, rischia che finisca per farlo qualcun altro.

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