C’era un altro ennesimo spread che il governo Monti doveva riuscire a ridurre. Oltre agli spread tra titoli di stato italiani e tedeschi, allo spread tra competitività dell’Italia e degli altri Paesi, allo spread tra partiti di cui ha parlatolo stesso Monti, c’è anche uno spread tra politica e società, tra classe dirigente e popolo. È uno spread facile da capire se si pensa all’antipolitica montante e allo scarsissimo indice di fiducia nei partiti. Ma in realtà c’è di più, molto di più. L’antipolitica è solo una delle espressioni più visibili ma anche estreme di questo senso di estraneità. Una certa dose di antipolitica c’è sempre stata ed è forse endemica; oltretutto non c’è da stupirsi se ultimamente sia cresciuta enormemente, non solo per gli ultimi sviluppi e per i troppi agitatori, ma anche per quanto seminato in tanti anni contro il “teatrino della politica” tanto dall’ondata di tangentopoli quanto da quelli che le sono succeduti, dall’estrema sinistra al grillismo ai girotondini, dal berlusconismo al leghismo al feltrismo. Però c’è a mio avviso una questione molto più profonda che per l’ennesima volta risalta dall’indagine Censis per i 150 anni dell’Italia – ma scommetto che sarà pressoché ignorata dalla maggioranza dei mass media. Il punto è che c’è uno spread socio-culturale tra il popolo italiano e la sua classe dirigente, tra come sono gli italiani e come sono rappresentati. C’è una presunta elite italiana molto molto autoreferenziale, che si incontra solo al suo interno, che gareggia a farsi vedere nei soliti giri giusti, che pontifica da ogni pulpito, che decide cosa deve essere detto e cosa no, e questa cerchia ristretta (ma non ristrettissima) non ha alcun contatto con il Paese reale. Eppure questa elite saccente pretende di essere l’unica vera interprete di cosa interessi o non interessi a popolo, di cosa la gente debba occuparsi e di cosa no, di quello in cui deve credere e cosa sia tabù, cosa sia il politicamente corretto da imporre e cosa sia da considerarsi “arretrato”. Questo distacco dalla realtà si evidenzia ogni qual volta i politici possono agire nel totale disinteresse di quello che pensano i cittadini e sono autoreferenziali o al massimo rispondono al capo che dispone del loro destino, ogni qual volta i mass media scelgono un’agenda dei temi importanti guardando alle elucubrazioni dei giornalisti e agli ordini di chi comanda, ogni qual volta il divario economico e sociale tra questi privilegiati e gli altri si allarga a dismisura, ogni volta che televisione e cinema ci presentano come normali e giusti modelli che sono assolutamente minoritari e marginali e spesso persino sgraditi nella società, ogni volta che certi temi “progressisti” (e spesso non è questione di destra o sinistra ma appunto di questo club autoreferenziale trasversale) vengono imposti al dibattito pubblico ma poi alla prova dei fatti si dimostrano quanto di più lontano dal sentimento degli italiani. E si potrebbe continuare.
Ecco, il governo Monti si trova ad avere a che fare anche con questo spread. E non è una cosa facile da affrontare. Però vedremo subito che non solo ne ha i mezzi, ma anche la giusta sintonia. Cominciamo dai problemi: si potrebbe obiettare che questo governo di tecnici, di professori, di gente che guadagna molto sia quanto di più lontano dalla gente comune. In realtà non è così. Certo, ci può essere un problema di comunicazione, di sintonizzazione a livello epidermico (anche perché il rapporto tra governo e cittadini deve comunque faticosamente passare attraverso il filtro di quella cerchia di cui abbiamo parlato e che ovviamente oppone resistenza). Ma a livello più profondo la sintonia è molto forte, e lo dimostrano anche i sondaggi, per quel che conta. Diciamolo, questo governo chiede pesanti sacrifici, e tutti hanno di che lamentarsi. Però poi il livello di consenso, fiducia e credibilità di questo governo resta altissimo tra gli italiani. Perché? Perché appunto la sintonia è più profonda, va oltre i singoli provvedimenti e le cose dell’immediato. Questo è un governo che non guarda al proprio interesse, che non si limita alle questioni di sopravvivenza, che non vuole piacere ad ogni costo; è un governo che si rimbocca le maniche, che affronta i problemi, che cercare di risollevare l’Italia, di dare prospettive di futuro, che si richiama ai valori fondamentali degli italiani. Sappiamo bene che è un governo composito dove non tutti la pensano allo stesso modo su molte cose, e anche su molti valori fondamentali. Ma hanno in comune quella serietà, quella coscienza dei problemi che gli italiani chiedono. Ecco, possiamo dire che non solo questo governo è più in sintonia di altri col sentire degli italiani, e non solo che l’insediamento di questo governo facilita il ritorno a una vicinanza tra classe dirigente e popolo mettendo da parte gli anni di carnevale (da una parte e dall’altra) e favorendo anche il risveglio degli stessi cittadini che non si può negare si fossero comunque abbandonati alla deriva della seconda repubblica. Ma si può forse dire che questo governo è anche il frutto del fatto che nonostante i tentativi di imporre modelli alternativi la corrente principale, a volte sotterranea, che percorre la società italiana è una corrente di valori profondi, di serietà, di impegno. Quando la crisi della elite raggiunge il culmine e lo spread cresce, questa corrente riemerge in superficie, e se le manifestazioni più visibili sono quelle dell’antipolitica, quelle maggioritarie sono invece la richiesta di impegno e serietà diffuse tra gli italiani e che ora sono incarnate dal governo Monti. Non a caso i valori profondi principali degli italiani sono molto molto lontani dalla rappresentazione che ne fanno i media e da quanto incarna un certo ceto politico: famiglia, qualità della vita, religione, bellezza, Italia, cultura, lavoro. Questa è l’Italia vera, quella su cui devono aprire gli occhi politici e giornalisti. Ed è un’Italia che al di là delle sfumature crede in se stessa, nella solidità, nel rilancio, nell’impegno solidale. Attenzione che chi la disegna diversamente, pur avendo torto all’inizio, non riesca alla fine a rovinarla imponendo un modello snaturante. Il governo Monti sembra quello più adatto a riportare l’Italia alla sua vera natura, in modo da farla tornare vincente.
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