lunedì 26 marzo 2012

Governo Monti, l'emergenza non è finita, la cura è dolorosa ma salva la vita

“Oltre il governo Monti per l’Italia c’è il baratro. Riflettano attentamente quelli che manovrano per far tornare la vecchia politica. È chiaro che ci sono grandi resistenze da parte di quelli che nella vecchia politica hanno costruito il loro potere e oggi hanno paura di affrontare il vento del cambiamento. Bisogna invece andare avanti. È un momento in cui tutti devono tenere i nervi saldi e privilegiare l’interesse nazionale rispetto agli interessi dei partiti”. Lo ha detto con chiarezza il presidente dell’UDC Rocco Buttiglione, come sempre in perfetta sintonia con Pierferdinando Casini, che a sua volta ripete continuamente che l’emergenza non è finita, i problemi del’Italia non si possono risolvere certo in quattro mesi, e comunque nessuna forza politica è in grado di farlo da sola: “Siamo nel mezzo di un’emergenza che non è finita. In qualche mese questo Governo è riuscito a fare quello che gli altri governi, quelli del mitico bipolarismo, non hanno fatto rinviando i problemi. Noi siamo impegnati dal mattino alla sera a fare gli sminatori per cercare di fare andare avanti tranquillo Monti. C’è chi tira da una parte e chi tira dall’altra, se si continua così il Governo prima o poi entra in crisi sul serio e sarebbe un atto di irresponsabilità allo stato puro”.
Il messaggio sembrerebbe compreso e condiviso, e proprio nelle ultime ore sono arrivate molte conferme in tal senso. A parole, che sono meglio di niente, ma bisognerà vedere i fatti. Il rischio al momento è altissimo. I fattori “destabilizzanti” che offrono sponda alle fazioni più irresponsabili sono molti. Le elezioni amministrative prossime venture, ovviamente, che come ogni campagna elettorale dividono e infuocano il clima, legittimamente, ma pericolosamente. Non si può neanche ignorare il fuoco di fila di certi mass media, che da una parte registrano doverosamente le tensioni esistenti nei partiti, anche quelle sommerse, ma dall’altra a volte giocano in prima persona a drammatizzare la situazione politica, sia per accrescere le loro vendite, sia per l’abitudine ad anni di militanza faziosa, sia perché forse stanchi della sobrietà poco spendibile di un governo serio. Poi c’è la riforma del lavoro, senz’altro tema particolarmente sensibile ma come un po’ tutti quelli che questo governo è costretto a toccare per risanare il Paese. E infine, ultimo ma non ultimo, c’è il grave problema del fatto che adesso inizia ad arrivare sugli italiani il vero impatto delle manovre varate nei mesi e negli anni scorsi. Se cioè si stanno mettendo le basi per la ripresa, gli effetti concreti della crisi è ora che cominciano a impattare, sono le buste paga di questa difficile primavera a scendere, sono i costi della spesa a salire, e adesso arriverà anche l’IMU e probabilmente l’aumento dell’IVA. È normale che gli italiani siano spaventati e preoccupati, e anche arrabbiati. Il punto è che non si può certo dare la colpa della malattia al dottore che cerca di curarla. Eppure questo è lo sport principale più in voga in Italia: facile aspettarsi che tanti politicanti nostalgici della vecchia politica fallimentare ma che ha garantito loro il potere rincorrano il populismo e alimentino gli istinti più bassi dei cittadini. Ma non è questo quello che ci porterà fuori dalla crisi, non è questo quello che devono fare delle forze politiche responsabili. I partiti devono avere il coraggio di fare delle scelte e di assumersi la responsabilità delle scelte che fanno, e l’unica scelta seria in questo momento è quella di proseguire nella politica di riforma e sobrietà del governo Monti. Sta proprio ai partiti responsabili fare il contrario di quello che fanno i politicanti irresponsabili: garantire stabilità al governo e spiegare con tenacia le buone ragioni ai cittadini che hanno tutto il diritto di sentirsi turbati. Per questo bisogna togliere le mine dal cammino del governo. Ma ci sono dei seri nemici al presente, e questi sono il passato e il futuro. Se infatti questo presente serve proprio a garantire un futuro all’Italia, altri invece lavorano in questo presente solo pensando con grande miopia al proprio egoistico futuro. E per quanto riguarda il passato, è dura ammettere che i costi salati che ora si devono pagare sono colpa non dell’esattore di turno, ma di chi negli anni passati ha fatto debiti e ha fatto precipitare la situazione. Ecco dunque che se quei responsabili del passato pensano solo a costruirsi un passaporto per il loro futuro, è inevitabile che a farne le spese saranno il presente, la verità e l’Italia.
Ma la speranza che la responsabilità prevalga è sempre viva. Che ci si renda conto che solo tutte insieme le forze politiche responsabili e riformiste possano affrontare i decennali problemi dell’Italia, il rilancio dell’economia, la costruzione di un quadro istituzionale e politico meglio funzionante, la sfida determinante della competitività.
Lo dicono anche i leader di PD e PDL. Alfano ha confessato di aver messo in conto “di pagare un dazio al governo” in termini di minori consensi. Alla lunga sarà premiato, se terrà la barra dritta. Se invece il suo partito scade in schermaglie per approfittare delle difficoltà del PD e per difendere i propri interessi ad esempio in Rai, se continua a pensare che sia determinante l’asse con la Lega che è su posizioni opposte e demagogiche su tutto quello che riguarda il governo Monti, allora il PDL è responsabile solo a parole, solo a intermittenza, solo quando si discute di provvedimenti che gli convengono, ma si mette di traverso in tutti gli altri casi. E lo stesso discorso in modo speculare vale per il PD. Bersani ieri in direzione ha confermato il sostegno al governo, e ha detto anche di non essere contro la riforma del lavoro ma solo per migliorarla. E lo stesso per le altre riforme, a partire da quella elettorale. “Nessuna persona ragionevole può pensare di buttare giù il Governo, dice D’Alema. Tutto giusto, se il PD avrà la forza e il coraggio di confermarlo nei fatti. Solo il tempo sarà galantuomo. Ma per prima cosa il tempo bisogna darlo all’Italia e quindi al governo Monti. Difficile capire come qualcuno oggi possa pensare di tramare per mandare all’aria tutta la politica di rigore e serietà per prepararsi a ricostruire un governo dell’Italia affidato alla vecchia alleanza PDL-Lega o a quella PD-IDV-SEL.

martedì 13 marzo 2012

Censis, i valori degli italiani: famiglia, religione, bellezza

C’era un altro ennesimo spread che il governo Monti doveva riuscire a ridurre. Oltre agli spread tra titoli di stato italiani e tedeschi, allo spread tra competitività dell’Italia e degli altri Paesi, allo spread tra partiti di cui ha parlatolo stesso Monti, c’è anche uno spread tra politica e società, tra classe dirigente e popolo. È uno spread facile da capire se si pensa all’antipolitica montante e allo scarsissimo indice di fiducia nei partiti. Ma in realtà c’è di più, molto di più. L’antipolitica è solo una delle espressioni più visibili ma anche estreme di questo senso di estraneità. Una certa dose di antipolitica c’è sempre stata ed è forse endemica; oltretutto non c’è da stupirsi se ultimamente sia cresciuta enormemente, non solo per gli ultimi sviluppi e per i troppi agitatori, ma anche per quanto seminato in tanti anni contro il “teatrino della politica” tanto dall’ondata di tangentopoli quanto da quelli che le sono succeduti, dall’estrema sinistra al grillismo ai girotondini, dal berlusconismo al leghismo al feltrismo. Però c’è a mio avviso una questione molto più profonda che per l’ennesima volta risalta dall’indagine Censis per i 150 anni dell’Italia – ma scommetto che sarà pressoché ignorata dalla maggioranza dei mass media. Il punto è che c’è uno spread socio-culturale tra il popolo italiano e la sua classe dirigente, tra come sono gli italiani e come sono rappresentati. C’è una presunta elite italiana molto molto autoreferenziale, che si incontra solo al suo interno, che gareggia a farsi vedere nei soliti giri giusti, che pontifica da ogni pulpito, che decide cosa deve essere detto e cosa no, e questa cerchia ristretta (ma non ristrettissima) non ha alcun contatto con il Paese reale. Eppure questa elite saccente pretende di essere l’unica vera interprete di cosa interessi o non interessi a popolo, di cosa la gente debba occuparsi e di cosa no, di quello in cui deve credere e cosa sia tabù, cosa sia il politicamente corretto da imporre e cosa sia da considerarsi “arretrato”. Questo distacco dalla realtà si evidenzia ogni qual volta i politici possono agire nel totale disinteresse di quello che pensano i cittadini e sono autoreferenziali o al massimo rispondono al capo che dispone del loro destino, ogni qual volta i mass media scelgono un’agenda dei temi importanti guardando alle elucubrazioni dei giornalisti e agli ordini di chi comanda, ogni qual volta il divario economico e sociale tra questi privilegiati e gli altri si allarga a dismisura, ogni volta che televisione e cinema ci presentano come normali e giusti modelli che sono assolutamente minoritari e marginali e spesso persino sgraditi nella società, ogni volta che certi temi “progressisti” (e spesso non è questione di destra o sinistra ma appunto di questo club autoreferenziale trasversale) vengono imposti al dibattito pubblico ma poi alla prova dei fatti si dimostrano quanto di più lontano dal sentimento degli italiani. E si potrebbe continuare.
Ecco, il governo Monti si trova ad avere a che fare anche con questo spread. E non è una cosa facile da affrontare. Però vedremo subito che non solo ne ha i mezzi, ma anche la giusta sintonia. Cominciamo dai problemi: si potrebbe obiettare che questo governo di tecnici, di professori, di gente che guadagna molto sia quanto di più lontano dalla gente comune. In realtà non è così. Certo, ci può essere un problema di comunicazione, di sintonizzazione a livello epidermico (anche perché il rapporto tra governo e cittadini deve comunque faticosamente passare attraverso il filtro di quella cerchia di cui abbiamo parlato e che ovviamente oppone resistenza). Ma a livello più profondo la sintonia è molto forte, e lo dimostrano anche i sondaggi, per quel che conta. Diciamolo, questo governo chiede pesanti sacrifici, e tutti hanno di che lamentarsi. Però poi il livello di consenso, fiducia e credibilità di questo governo resta altissimo tra gli italiani. Perché? Perché appunto la sintonia è più profonda, va oltre i singoli provvedimenti e le cose dell’immediato. Questo è un governo che non guarda al proprio interesse, che non si limita alle questioni di sopravvivenza, che non vuole piacere ad ogni costo; è un governo che si rimbocca le maniche, che affronta i problemi, che cercare di risollevare l’Italia, di dare prospettive di futuro, che si richiama ai valori fondamentali degli italiani. Sappiamo bene che è un governo composito dove non tutti la pensano allo stesso modo su molte cose, e anche su molti valori fondamentali. Ma hanno in comune quella serietà, quella coscienza dei problemi che gli italiani chiedono. Ecco, possiamo dire che non solo questo governo è più in sintonia di altri col sentire degli italiani, e non solo che l’insediamento di questo governo facilita il ritorno a una vicinanza tra classe dirigente e popolo mettendo da parte gli anni di carnevale (da una parte e dall’altra) e favorendo anche il risveglio degli stessi cittadini che non si può negare si fossero comunque abbandonati alla deriva della seconda repubblica. Ma si può forse dire che questo governo è anche il frutto del fatto che nonostante i tentativi di imporre modelli alternativi la corrente principale, a volte sotterranea, che percorre la società italiana è una corrente di valori profondi, di serietà, di impegno. Quando la crisi della elite raggiunge il culmine e lo spread cresce, questa corrente riemerge in superficie, e se le manifestazioni più visibili sono quelle dell’antipolitica, quelle maggioritarie sono invece la richiesta di impegno e serietà diffuse tra gli italiani e che ora sono incarnate dal governo Monti. Non a caso i valori profondi principali degli italiani sono molto molto lontani dalla rappresentazione che ne fanno i media e da quanto incarna un certo ceto politico: famiglia, qualità della vita, religione, bellezza, Italia, cultura, lavoro. Questa è l’Italia vera, quella su cui devono aprire gli occhi politici e giornalisti. Ed è un’Italia che al di là delle sfumature crede in se stessa, nella solidità, nel rilancio, nell’impegno solidale. Attenzione che chi la disegna diversamente, pur avendo torto all’inizio, non riesca alla fine a rovinarla imponendo un modello snaturante. Il governo Monti sembra quello più adatto a riportare l’Italia alla sua vera natura, in modo da farla tornare vincente. 

mercoledì 7 marzo 2012

Partito dei tecnici o competenza nella politica?

Il partito dei tecnici prenderebbe il 22 per cento dei voti, porterebbe più gente a votare, e starebbe praticamente alla pari con PD e PDL ai quali toglierebbe consensi. È il risultato di un sondaggio realizzato da Ipr Marketing per Repubblica. Peccato però che il partito dei tecnici non esista, non esisterà e non potrà esistere. E posta in questo modo la vicenda, come spiegheremo, è un controsenso totale. Ma in un altro senso è invece un segnale importante e interessante, e in un certo modo è anche un segnale di speranza.
Andiamo per ordine. Il partito dei tecnici non esiste e non può esistere perché la caratteristica tipica dei partiti  (stando alla scienza politica) è quella di presentarsi alle elezioni, la caratteristica dei tecnici è quella di non presentarsi alle elezioni. Un partito sottopone agli elettori un programma, delle idee, dei riferimenti culturali, dei progetti e in base a questi chiede di essere giudicato e scelto e quindi di avere il consenso necessario a rappresentare una fetta di società. Per i tecnici è esattamente il contrario: non svolgono un ruolo di rappresentanza, ma viene richiesta per un periodo limitato la loro competenza specifica che devono prestare nel modo più asettico possibile e più distaccato dalle parti politiche e dalle fazioni. Certo, sappiamo tutti che anche i tecnici hanno giustamente e legittimamente le loro idee politiche e le loro aree culturali di provenienza (e comunque nel caso del governo Monti le idee politiche sono notoriamente variegate tanto da rendere comunque improbabile una convergenza in un unico partito politico), ma nel loro lavoro è caratteristicamente chiesto loro di tenere da parte questa loro visione personale e di limitarsi ad applicare le loro competenze. Al contrario ai politici è richiesto proprio di agire in conseguenza delle loro idee e delle loro visioni che sono state approvate dagli elettori.
Questo esclude che ci possa essere di nuovo un governo tecnico nella prossima legislatura? No, anche se appare improbabile (più probabile semmai una grande coalizione con apporti tecnici). Sarebbe però, come ora, un governo di tecnici nominato dai partiti politici. Domanda solo apparentemente più complessa: questo esclude che gli attuali tecnici si candidino alle elezioni? Certamente no. Come tutti i cittadini hanno pieni diritti politici. Il fatto è che quando dovessero scegliere di entrare in politica non sarebbero più tecnici ma politici, in quanto avranno scelto una parte, una linea, delle idee, e le avranno sottoposte al giudizio degli elettori.
E qui veniamo agli spunti di riflessione positivi. È un gran bene che in Italia ci sia sete di competenza. L’unica cosa vera che indica il sondaggio è che gli italiani sono stanchi di questo sistema di partiti, di questa politica, e vogliono un rinnovamento e un rinnovamento che sia basato sulla competenza. Lo stesso sondaggio dice che se i tecnici si presentassero alle elezioni l’astensionismo calerebbe di quindici punti percentuali. Non è poco.
E non è neanche qualcosa di molto diverso di quello cha da anni va dicendo l’UDC. La politica del bipolarismo muscolare, dei parlamentari nominati in base alla fedeltà al capo, la politica del pro o contro pregiudiziali è fallita e ha portato l’Italia sull’orlo del baratro. Occorre recuperare una politica dei contenuti, delle competenze. Una politica che tenga ben vivo il cordone ombelicale con la società civile. Una politica che sappia assumersi le responsabilità di essere sovrana sulle scelte ma al contempo riconosca i propri limiti, soprattutto di fronte alla logica, alla matematica, all’etica. I partiti devono rinnovarsi in questa direzione. Altrimenti moriranno. Verranno sostituiti da altri partiti, o da altre realtà non ben definibili e per questo non necessariamente migliori per il funzionamento della democrazia. I partiti oggi come oggi sono molto screditati davanti all’opinione pubblica, ma questo anche perché hanno perso la loro capacità di essere la cinghia di trasmissione tra i cittadini e le istituzioni. E di essere guida responsabile, invece che limitarsi a inseguire il consenso e magari i sondaggi di opinione. Se dici agli italiani quello che vogliono sentirsi dire, magari li fai contenti sul momento, ma alla lunga non risolvi ma aggravi i problemi, non svolgi il tuo ruolo di classe dirigente, e prima o poi ci si accorge che sei inutile. Se invece hai idee e competenze da portare avanti e fai la fatica di spiegarle e mostri i risultati, puoi anche non accontentare tutti però svolgi la tua missione e ottieni il credito per la rappresentanza. Quindi questo devono fare i partiti, inserendo competenze e idee al loro interno, e rappresentanti tecnici che non sono profeti infallibili ma politici con una visione supportata da capacità ed esperienza. E ancor più i partiti devono quindi aprirsi a un rapporto osmotico con la società civile, con le realtà vitali del Paese, le realtà produttive, del mondo del lavoro, dell’associazionismo, del volontariato, del mondo cattolico. Esattamente il progetto che persegue da tempo l’UDC ma che ora deve mettere in pratica. Questo è l’unico partito dei tecnici che può funzionare e che gli italiani aspettano. Se non lo farà quel Terzo Polo che ha prima di tutti compreso, avviato e sostenuto questo progetto, rischia che finisca per farlo qualcun altro.