È un anno del tutto nuovo il 2012 che si prospetta per i partiti italiani. Un nuovo inizio. Di fronte a loro hanno un ventaglio di scelte di comportamento che avranno una grande influenza sul destino dell’Italia ma anche sulla loro stessa sopravvivenza e sulla nuova immagine che di loro avranno l’opinione pubblica e gli elettori. I partiti sono in parte sgravati dalla responsabilità del governo, e dopo un ventennio di orgia di protagonismo all’inseguimento della partecipazione tv e dell’annuncio propagandistico, dopo tanto tempo passato sotto l’ombrello di Berlusconi e del berlusconismo, della politica personalistica e spettacolarizzata, ecco che adesso si impone un momento di respiro, un attimo per tirare il fiato. Una pausa di riflessione. Una sana dieta dimagrante per la bulimia di politica urlata che ci è stata inflitta in questi lustri di bipolarismo becero e inconcludente.
Ma questa pausa, questo momento di passo indietro non vuole assolutamente significare il venir meno di ogni responsabilità. Anzi. Il passo indietro richiesto ai partiti è in realtà un passo avanti richiesto alla politica. E i protagonisti di questa fase hanno l’enorme responsabilità del nuovo inizio, non potranno trincerarsi dietro l’essersi trovati in un certo clima cui si sono adeguati. Oggi il clima è indiscutibilmente cambiato, è più responsabile, l’aria è più pura, e quale sarà il clima per il futuro verrà deciso proprio in questi tempi decisivi. Per cui ciascun politico, ciascun partito oggi più che mai è investito della responsabilità dell’ora e del futuro, come in uno start up, per non voler scomodare la parola costituente.
In queste contingenze che sono per altro assai difficili e dure, i partiti hanno di fronte un ventaglio di opzioni comportamentali, non tutte alternative. C’è la scelta di proseguire in continuità con quanto accaduto finora, fingere che ci troviamo in una bolla che si limiterà ad essere una parentesi, e riprendere a ragionare come si faceva prima, con contrapposizioni, faziosità, spettacolarizzazione. Si può continuare a vivere in una campagna elettorale permanente e sguaiata, fatta di aggressioni al nemico di turno (per mascherare la propria inconsistenza, come è accaduto finora), punteggiata di promesse sgangherate e di vili inseguimenti della pancia della gente svelata da arruffati sondaggi del momento. Con un governo tecnico questo è ancora più facile, perché è un ottimo paravento su cui scaricare tutte le (proprie) colpe senza mai doversi assumere la responsabilità di mettere in pratica le proprie sconnesse idee. Quando poi si tornerà al voto, magari con un bilancio un po’ risanato si potrà cercare di sperperare di nuovo quel tesoretto di autorevolezza, credibilità e rigore che altri avevano messo da parte, pronti poi a rovesciare di nuovo su non si sa chi la colpa del nuovo sfascio che il ritorno della vecchia politica avrà di nuovo comportato. D’altro canto quella vecchia becera politica vive d’effimero, degli umori del momento, e conta sul fatto che gli italiani solleticati oggi nei loro istinti peggiori siano confusi, annebbiati, e non ricordino perché si è arrivati a tanto, cosa si è fatto ieri, e chi sono i responsabili, e si accaniscano solo sulla preda-trappola che gli viene messa sotto il naso. Starà agli italiani dimostrare di non essere così insensati da meritare il ritorno a questa politica-truffa.
Seconda opzione per i partiti è quella di prendersi un periodo di vacanza, di stare alla finestra, di lasciar fare ai tecnici mantenendosi il più possibile alla larga. Per non intralciare il loro lavoro, si dirà, ma anche per non rischiare contaminazioni e non assumersi responsabilità che non si è in grado di portare. Poi, chi vivrà vedrà. Altri avranno fatto il lavoro pesante, anche quello sporco, e le cose saranno state raddrizzate. A quel punto si ritorna in gioco, con meno problemi e magari contando sulla citata tendenza italica all’amnesia. Questa opzione, diciamolo, ha del buono. Se non abbiamo assistito alla sconfitta della politica, ma certo a quella di una certa politica, se sono dovuti intervenire i tecnici, allora è anche giusto lasciarli fare. Partiti troppo presenti, troppo condizionanti, troppo avanzanti pretese, potrebbero essere d’intralcio. È giusto lasciare al governo il margine di azione che gli compete. Ad esempio è giusto lasciare a governo e parti sociali (leggi ad esempio sindacati) lo spazio per confrontarsi, ma questo non vuol dire svignarsela di fronte ai temi più importanti per l’Italia, come il lavoro e l’occupazione.
Ma senza esagerare, senza usarlo come paravento. E qui scatta la terza opzione, quella della responsabilità. Perché se ogni governo, ogni scelta è politica, allora che ci stanno a fare i partiti se non a partecipare, ad assumersi le loro responsabilità? Che cosa sono i partiti se non le cinghie di trasmissione tra i cittadini e la politica? E allora questo devono fare, in ogni caso. Oggi, più che mai, devono essere le cinghie di trasmissione tra i cittadini, naturalmente e giustamente turbati e confusi dalla tempesta che ci ha investito, e il governo, che proprio perché è tecnico ha bisogno di sostegno politico. Sostegno che si manifesta nei consigli per orientarsi, nel riportargli le giuste istanze raccolte dai partiti, ma soprattutto nell’agire nella direzione contraria, cioè dal governo verso i cittadini, contribuendo a spiegare, a sostenere (non necessariamente a scatola chiusa), a chiarire gli obiettivi per un bene migliore e comune che si deve intravedere alla fine dei sacrifici. I partiti che si sapranno assumere questa responsabilità, questo ruolo di mediazione e rappresentanza che gli è proprio, quei partiti segneranno il nuovo inizio, saranno protagonisti della nuova politica e avranno credito e credibilità per raccogliere un consenso solido dei cittadini. Gli altri avranno due opzioni: essere subito spazzati via da un’auspicabile ondata di serietà e responsabilità, oppure raccogliere un enorme consenso umorale “contro”, e poi andare a fondo con tutto il Paese.
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